OMELIA per la MESSA della DONAZIONE dei CERI 2012

Faenza - Basilica Cattedrale, 12 maggio 2012
12-05-2012


Saluto e ringrazio il Signor Sindaco per la partecipazione a questa Eucaristia, e saluto anche le rappresentanze dei Rioni cittadini.


Ogni anno la celebrazione di questa Messa che compendia in sé la liturgia della sesta domenica di Pasqua e la festa della Beata vergine delle grazie, è un momento molto bello di partecipazione cittadina, evidenziata dalla presenza dei Rioni e dall’omaggio che essi offrono alla Madonna con il dono di un cero. È un segno di unità che fa certamente bene alla nostra comunità e consolida quella comunione di intenti che in passato ha portato a eleggere come patrona della città di Faenza la Madonna delle grazie


Quest’anno devo esprimere agli organizzatori un particolare apprezzamento per aver voluto ricordare nel drappo del Palio il VI centenario della Madonna delle grazie, rievocandone l’immagine.


La festa del centenario avviene in un momento difficile per la nostra comunità, per il nostro paese e per il mondo intero. Vogliamo ricordare anche in questa Messa le famiglie provate dalla mancanza di lavoro e i giovani che non riescono a trovarlo, e pregare anche per coloro che hanno in mano le sorti della nostra gente.


Seicento anni fa anche la devozione alla Madonna delle grazie ebbe la sua origine in un tempo di sciagure e di sofferenze. Allora però più facilmente di oggi si era disposti a riconoscere i limiti della natura umana e a chiedere l’aiuto del Cielo.


Non sembri fuori luogo nel nostro tempo fare tesoro degli aiuti che ci vengono offerti dalla fede, non solo per resistere nelle prove, ma anche per sapere come affrontarle alla luce degli insegnamenti del Vangelo, che anche se non ci danno le soluzioni immediate, tuttavia ci possono ricordare i valori fondamentali.


Abbiamo sentito nella prima lettura San Pietro affermare: ‘In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga’. Avere il santo timor di Dio e praticare la giustizia, significa prendere Dio sul serio cominciando dal rispetto delle leggi morali naturali, leggi che appartengono quindi ad ogni popolo. Se fossimo più solidali a questo riguardo non solo potremmo rimediare a qualche errore passato, ma potremmo anche prevenire future deviazioni.


La seconda lettura e il vangelo li consideriamo insieme nel raccogliere l’insegnamento del Signore sull’amore. È un insegnamento sempre nuovo di cui abbiamo bisogno, perché ci trova spesso inadempienti. La tentazione dell’egoismo, degli interessi, del difendere le proprie posizioni è troppo forte. Non possiamo mai dare per scontato di essere a posto e di avere fatto abbastanza.


Gesù invita a rimanere nel suo amore, segno che siamo già immersi in questo amore, che ci precede ‘perché in questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati’. Già questo fatto è per noi di grande conforto. Il cristianesimo è la rivelazione di Dio che ci ama, perché anche noi impariamo ad amare e possiamo esperimentare la gioia del donare.


 ‘Amiamoci gli uni gli altri perché l’amore è da Dio; chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore’. Proviamo a considerare la forza di queste parole e la presunzione di chi per mettere le mani avanti dice: io non sono credente. Si potrebbe dirgli: Ma tu non ami nessuno? Non hai mai fatto un gesto di bontà? Allora non dire: non credo, perché chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Mentre si può dire: Signore credo, ma aumenta la mia poca fede.


Abbiamo incontrato queste parole nella festa della Madonna delle grazie, e prendiamo anch’esse come un dono e una grazia di Maria. Abbiamo bisogno di verificarci sul comandamento dell’amore a tutti i livelli, in famiglia, sul lavoro, nelle comunità civili ed ecclesiali, con i nostri concittadini e con coloro che vengono da altri paesi.


Il precetto dell’amore non va osservato perché ci conviene, ma perché viene da Dio e costituisce il fondamento per i nostri rapporti con gli altri e con Dio stesso, che ci ha chiamato amici.


Si tratta di comprendere bene quello che Gesù chiede, per non ridurre questa novità ad una osservanza formale. Quando Gesù dice: ‘Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi’,  aggiunge anche: l’amore più grande è dare la vita per i propri amici, proprio come ha fatto Lui.


I veri benefattori dell’umanità sono persone che hanno fatto così, o almeno ci hanno provato, a cominciare dai genitori che si sacrificano per i figli, fino a coloro che rischiano la vita per salvare altri o coloro che abbandonano tutto per andare ad aiutare altri popoli, come fanno i missionari.


Con questo si vuole dire che è possibile amare come ci insegna il Signore, e deve diventare sempre più un modo diffuso di relazione con gli altri, per formare quella che Paolo VI chiamava la civiltà dell’amore. Si tratta di crederci, di chiedere l’aiuto necessario e di essere convinti che il vero guaio del mondo è l’egoismo. Anche il nostro, perché facilmente vediamo solo quello degli altri.


La risposta ai nostri problemi e alle sofferenze di tanti che ci viene data nella festa della Madonna delle grazie è questa parola di Gesù: amatevi gli uni gli altri. Se questo comando di Gesù lo tenessimo presente anche nella nostra vita sociale e politica e nei rapporti economici, ovviamente con le dovute mediazioni, avremmo acceso una luce per una vera speranza.


È questa una grazia che vogliamo chiedere tra le altre a Maria, madre di tutte le grazie.