OMELIA per la IV domenica di AVVENTO

Faenza, Clinica San Pier Damiano - 18 dicembre 2016
18-12-2016

Nel nostro cammino di preparazione al Natale, dopo l’Immacolata e san Giovanni Battista, incontriamo san Giuseppe, uomo giusto che sogna ed ama, non parla e agisce. È tra i testimoni di Avvento, tra coloro che rendono testimonianza alla Luce (cf Gv 1, 7.8). Anche san Giuseppe ci insegna come accogliere il mistero di Dio che si incarna, si fa uomo, uno di noi, per camminare con noi ed iniziare una nuova storia: la storia di una umanità che vive in comunione con Dio e re-impara il mestiere di essere uomini completi.

Il Vangelo di Matteo ci dice che prima che andassero a vivere insieme, Maria si trovò incinta. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Detto altrimenti, Giuseppe non è un imbambolato, un ingenuo. Vive in sé un dramma: vive il conflitto tra la legge che vuole che si tolga di mezzo il peccatore (cf Deut 22,22) e l’amore per Maria. Entra in crisi, perché si sente tradito. Il suo cuore di innamorato è straziato, non si dà pace. Non sa come uscire dal dilemma, perché se la legge è perentoria è anche chiaro che lui ama perdutamente Maria. È proprio in questo momento che lo Spirito irrompe, illumina Giuseppe e conforta il suo cuore ferito. Ecco, narra il Vangelo, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». In breve tempo Giuseppe è sollecitato a compiere nella sua testa e nel suo cuore un capovolgimento totale: non più un suo figlio, ma il figlio di Dio da prendere tra le braccia e da custodire. Certo, Giuseppe per riuscire a capacitarsi e capire cosa stava avvenendo nella sua vita, doveva aver avuto nella sua mente, come Maria, almeno l’idea che Dio doveva venire a salvare l’umanità. Come la giovane donna che egli amava, doveva far parte di quel «resto di Israele» che ancora credeva in un Redentore dell’uomo. Dall’angelo, messaggero di Dio, venne strappato dai suoi sogni umani e messo a servizio del grande sogno di Dio, che volle abitare su questa terra ed avere una famiglia come tutti noi.

Giuseppe, mani indurite dal lavoro, ma ricco di fede in Dio, sa ascoltare ed accogliere nella sua vita il sogno di Dio e si mette completamente a disposizione: quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Così, san Giuseppe è padre senza esercitare una paternità carnale. Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione. Per Cristo ha conosciuto la persecuzione, l’esilio e la povertà che ne deriva. Ha dovuto stabilirsi in luogo diverso dal suo villaggio. La sua sola ricompensa fu quella di essere con Cristo.

A ben pensarci, coloro che vivono ed operano in una struttura ospedaliera come quella in cui ci troviamo hanno un compito simile a quello di Giuseppe: essere a servizio della vita e della sua crescita; dedicarsi ai propri fratelli e alle proprie sorelle avendo la certezza che mentre si assiste e si curano le loro infermità si serve Cristo stesso. Come san Giuseppe, non dobbiamo essere servitori mediocri, svogliati, senza passione e amore. Dobbiamo essere servitori «fedeli e saggi». Non basta essere fedeli. Occorre essere anche pieni di saggezza, preparati professionalmente. Così, non è sufficiente essere saggi senza fedeltà. Per vivere in pienezza la responsabilità che Dio ci affida nel servizio agli ammalati occorre essere e fedeli e saggi, insieme. Solo così si vive una paternità simile a quella di Dio, una paternità che è per tutti i giorni, non solo per due minuti o mezza giornata; una paternità che ci vede coinvolti col cuore e la vita, con tutto noi stessi. Chi cura e serve gli ammalati li riceve in consegna, come Giuseppe ha ricevuto in consegna il Figlio di Dio incarnato. Essi sono nelle nostre mani, affidati a noi, non solo biologicamente ma anche spiritualmente, psicologicamente, come degli interi.

Partecipando all’Eucaristia, facendo comunione con Cristo, riceviamo un cuore nuovo. Vivendo uniti a Cristo riusciremo ad accogliere ogni ammalato col cuore di Cristo. Riusciremo a servirlo con il suo stesso amore, superando le nostre stanchezze, i nostri limiti, le nostre visioni anguste, tentate di chiudersi alla speranza.

San Giuseppe ci aiuti ad affidarci a Dio, a coltivare i suoi sogni sull’umanità ammalata, bisognosa di cure mediche e spirituali. Lui che ha vissuto alla luce del Mistero dell’Incarnazione ci insegni una prossimità non solo fisica, ma anche con l’attenzione del cuore.