Omelia per la I domenica di Avvento

03-12-2017

«Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti!». Il profeta Isaia (cf Is 63, 16b-17.19b; 64, 2-7) esprime il desiderio, da parte dell’umanità e dello stesso cosmo, che Dio non li abbandoni. In realtà, Egli non li ha mai lasciati soli. E il desiderio di Dio non è una velleità, un’aspirazione vana. L’invocazione rivolta a Dio nasce dal profondo dell’essere umano, che è stato creato a sua immagine. Per questo, vi è nel cuore delle persone la ricerca di Dio e della sua compagnia. Questa diviene più acuta specie quando si vaga lontani dalle sue vie e il cuore si indurisce. Con l’esperienza di un innato desiderio di Dio c’è sovente la consapevolezza di essere diventati umanità logora, «immonda»: immondi – afferma il profeta Isaia – sono tutti gli atti di giustizia. Il mondo è preda dell’ingiustizia. Gli animi sono avvizziti come foglie, le iniquità portano da altre parti rispetto a Dio. La tragedia del cuore umano raggiunge il culmine quando si vive la sensazione di non conoscere più il volto di Dio. Non si riconoscono più le orme della sua presenza. Non si ha nemmeno la voglia di invocarlo, per tornare a stringersi a Lui e a rivivere. La descrizione del profeta Isaia ci appare di un verismo implacabile, che trova ampi riscontri nella nostra società, come i telegiornali documentano puntualmente. Ma è possibile rinascere, andare incontro a Colui che viene sempre, ogni giorno, ogni ora, ogni anno. Di questo dobbiamo rendere grazie a Dio. Perché in Cristo Gesù, che si è incarnato, noi siamo stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e della conoscenza (cf 1 Cor 1, 3-9). Come afferma san Paolo, non ci manca nessun carisma. Siamo dotati di tutto ciò che ci serve per vivere un’esistenza degna dei figli di Dio. Ciascuno di noi ha doni da vivere e da donare. I doni che possediamo, a partire dal dono che li riassume, e cioè lo Spirito santo, non vanno seppelliti sotto una montagna di cattiveria, di ingiustizia, al punto da divenire indifferenti nei confronti di Dio, e di perdere il gusto della verità, del bene e di Dio stesso. I doni, i carismi, ci sono dati non perché li sciupiamo o li viviamo in maniera egoistica. Essi ci sono elargiti affinché li adoperiamo per costruire il nuovo popolo di Dio, ovvero la Chiesa, e per innalzare una nuova società, più fraterna e più giusta.

Dal Vangelo ci viene l’invito a fare attenzione e a vegliare (cf Mc 13, 33-37). Dobbiamo essere Chiesa che non dorme, è sveglia, capace di leggere in profondità gli eventi. Dobbiamo essere Chiesa che veglia, che guarda in avanti, che spia il lento emergere dell’alba, di un giorno nuovo, di una nuova primavera.

Cari fratelli e sorelle, occorre avere una chiara consapevolezza della nostra condizione attuale di Chiesa in questo territorio di Faenza-Modigliana. L’invecchiamento della popolazione e la diminuzione delle nascite colpiscono anche  le comunità ecclesiali. La crescita della multietnicità e della multireligiosità riguarda anche la missione delle nostre parrocchie, l’apostolato delle nostre associazioni. Il linguaggio multimediale, pur avvolgendoci e connettendoci, ci smembra dalle comunità e ci costituisce in monadi isolate, preda di un individualismo libertario ed utilitarista. In questo contesto, che richiede un particolare discernimento su più fronti, la nostra Diocesi sta compiendo alcune scelte, prestando attenzione in modo particolare ai giovani. Non si tratta di  scelte che distraggono da altri compiti importanti, relativi, ad esempio, alla ridefinizione delle unità pastorali e alla riforma della Curia. Sono opzioni concomitanti all’esercizio dei ministeri relativi alla catechesi, alla diaconia caritativa, all’evangelizzazione che, come ognuno sa, dev’essere  più attenta ai migranti e ai profughi, al loro bisogno di accoglienza, ma specialmente all’urgenza della formazione religiosa e alla pratica del dialogo interculturale.

Se l’Avvento ci dice che la Chiesa, il mondo, il creato e ciascuno di noi attende la venuta di Gesù Cristo, questo è anche vero per le nuove generazioni. I nostri giovani attendono la presenza di Cristo per divenire, sempre più, assieme a noi, costruttori più convinti ed efficaci della comunità ecclesiale: una comunità più unità e missionaria, sorgente di un nuovo umanesimo e di un nuovo rinascimento culturale. L’attendono, inoltre, per diventare anche protagonisti dell’innalzamento di una nuova società, più fraterna e più giusta, rinunciando ad essere semplici spettatori dal balcone, come ha sollecitato papa Francesco, parlando lo scorso 1 ottobre a coloro che erano presenti in piazza del Popolo a Cesena. La vocazione al sociale sollecita a vivere la carità anche nella politica, preparandosi con cura a tale impegno. L’attenzione ai giovani nella nostra Diocesi si sta concretizzando con la preparazione al Sinodo dei giovani, quale eco locale del prossimo Sinodo voluto da papa Francesco per la Chiesa intera. Già sono stati compiuti alcuni passi importanti come la scelta del titolo «Chiamati alla gioia», la costituzione della Consulta, l’adozione di un logo davvero bello, carico di significato, che vedrete a breve raffigurato sugli stendardi che verranno distribuiti alle parrocchie. Sarà pure distribuita un’immaginetta con stampata la preghiera da recitare ogni domenica. Già oggi, in questa Eucaristia, offriamo al Signore che si dona sull’altare, la sollecitudine per i giovani e il lavoro di accompagnamento necessario per camminare tutti insieme.