OMELIA per la GIORNATA DEL MALATO 2016

Bagnacavallo - Chiesa di San Giovanni Battista, 11 febbraio 2016
11-02-2016

La prima Lettura tratta dal Deuteronomio ci invita a considerare che tutte le volte che abbandoniamo Dio e ci costruiamo, al suo posto, altri dei per servirli, non abbiamo fortuna. Finiamo per essere schiavi. Scegliendo altri dei scegliamo noi stessi, la nostra vita, che pur essendo preziosa non ci basta, perché noi siamo fatti per Dio, per una vita più grande della nostra. Scegliendo, invece, Dio abbondiamo di vita e di gioia. Nel Vangelo secondo Luca ci sono indicati gli atteggiamenti fondamentali del cristiano: servire, rinnegare se stessi, perdere la propria vita per il Vangelo. Per essere persone in senso pieno dobbiamo guadagnare Gesù Cristo e viverlo ogni giorno, in tutti i momenti e in tutte le varie situazioni della nostra vita, compresa la malattia.

Oggi la XXIV Giornata Mondiale del Malato coincide con il ricordo della Madonna di Lourdes, la Madre che mostra una particolare tenerezza nei confronti dei malati. Da papa Francesco siamo sollecitati a vivere la suddetta Giornata alla luce delle nozze di Cana e dell’anno del Giubileo straordinario della Misericordia. Nelle nozze di Cana, Maria sollecita il Figlio a compiere il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino. È in questo modo che Maria partecipa alla gioia della gente comune e contribuisce a crescerla. Intercede presso il Figlio per il bene degli sposi e degli invitati.

Quale insegnamento possiamo trarre dal mistero delle nozze di Cana per la Giornata Mondiale del Malato? Gesù soccorre chi è in difficoltà e nel bisogno, cambiando l’acqua in vino, divenendo causa di gioia. Ma Egli è stato motivo di gioia anche per coloro che ha guarito da malattie, infermità, da spiriti cattivi, donando la vista ai ciechi, facendo camminare gli zoppi. E lo è stato pure per coloro che non sono stati guariti da mali fisici. Egli è divenuto causa di consolazione e di salvezza donando la fede. Mediante questa – una luce e una grazia particolari – ci si unisce alla vita di Cristo e alla sua opera di redenzione, partecipando alla sua morte e risurrezione. Sebbene la fede non sempre fa sparire la malattia, il dolore e l’angoscia che ne deriva, pur tuttavia può aiutare a vederli nelle loro potenzialità positive e a viverli come via per arrivare ad una più stretta vicinanza con Gesù, che cammina al nostro fianco caricato della Croce o, meglio, che ci aiuta a portare la nostra croce. La malattia può essere l’occasione di completare in noi le sofferenze di Cristo crocifisso e offrire, assieme a Lui, il dono della nostra vita e i patimenti per amor suo. Seppur devastati e condizionati dalla malattia possiamo ugualmente sperimentare la gioia di essere utili alla nostra comunità, ai giovani, al mondo, alle stesse persone che ci accudiscono e curano. Come a Cana Gesù si avvale dei servi per procurare gioia agli sposi e agli invitati al banchetto nuziale, così può servirsi degli infermieri, dei medici, degli assistenti domiciliari per farci sperimentare la gioia di essere accuditi da Lui. Le mani di coloro che ci assistono e ci curano possono essere le mani stesse di Dio. Noi possiamo essere mani, braccia, cuori che aiutano Dio a compiere i suoi prodigi di guarigione o di consolazione. La condizione, però, è che noi viviamo uniti a Cristo, sia che siamo ammalati, sia che stiamo accanto agli ammalati con un cuore pieno di amore e di tenerezza. La comunione costante con Dio ci consente di trasformare l’acqua del dolore e della malattia nel vino pregiato dell’offerta e del dono di noi stessi a Dio e ai fratelli.

Come ho suggerito nella Lettera pastorale (cf Misericordiosi come il Padre, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2015, pp. 117-123), celebriamo quest’anno della Misericordia vivendo la pastorale della salute con una operatività che esprima più intensamente l’amore di Dio, mediante un’azione comunitaria e sistematica a largo raggio.

Dovrà essere per tutti il momento privilegiato per una riflessione sulle Opere di Misericordia: «Visitare i malati» e «Consolare gli Afflitti».

«Visitare i malati» non è compito solo di alcuni, cioè di coloro che scelgono il mondo della malattia come ambito di lavoro, di servizio, di volontariato, ma di tutti noi, cominciando dai nostri familiari, dai vicini di casa, dai colleghi di lavoro e di svago, di chi condivide con noi l’appartenenza ad una associazione, ad una comunità, da chi conosciamo già. Visitare sempre, soprattutto se la malattia si prolunga, se il malato è solo, anziano. Nessuno dei malati di una parrocchia dovrebbe rimanere senza visite, perché tutti hanno tra i parenti o i vicini di casa qualcuno, adulto, giovane, anziano, che frequenta la comunità parrocchiale, battezzato e cresimato come noi. Papa Francesco ci avverte che «in forza del Battesimo e della Confermazione siamo chiamati a conformarci a Cristo, Buon Samaritano di tutti i sofferenti».1 È un’opera di misericordia che va riproposta con forza anche ai più giovani, perché oggi la fatica a rapportarsi con la malattia, la sofferenza, la disabilità, la vecchiaia porta molti ad allontanare da sé le persone afflitte da tali mali e questo impoverisce le famiglie, la società e anche le nostre parrocchie: il mondo della sofferenza, infatti, è un ambito privilegiato per incontrare Dio e la sua misericordia.

È importante anche «Consolare gli afflitti». Tanti accanto a noi vivono nel dolore, nella tristezza, nel lutto non solo per la morte di una persona cara, ma anche per la fine di un matrimonio, di un rapporto di lavoro importante. Questa situazione può essere molto pesante senza il conforto dell’ascolto, della condivisione. Siamo abituati a lasciarci coinvolgere dal dolore degli altri per brevi periodi, per poi allontanarci. Fatichiamo ad essere presenti, preoccupati spesso di non essere capaci di esprimerci, di non sapere che cosa fare, quando spesso basterebbero una parola, una stretta di mano, un abbraccio, e soprattutto la capacità di ascoltare in silenzio un dolore che, se taciuto, non può che aumentare e, se non condiviso diventa intollerabile. Dobbiamo imparare a comprendere anche il dolore di chi soffre senza avere più la capacità di manifestarlo. Questa situazione può essere molto pesante, quando non vi è il conforto dell’ascolto, della condivisione.

Viviamo la Giornata del Malato facendo il proposito che la visita ai malati e l’attenzione a chi è nel dolore diventi un’abitudine diffusa e condivisa. Maria, Beata Vergine delle Grazie ci aiuti.

1 Francesco, Messaggio per la XXII Giornata Mondiale del Malato (dicembre 2013).