OMELIA per la festa di SAN SEVERO

San Severo di Cotignola, 1 febbraio 2017
01-02-2017

Cari fratelli e sorelle,
è la seconda volta che vengo qui per la festa patronale che onora san Severo. Sappiamo che fu il 12° vescovo di Ravenna, dopo Marcellino e prima di Liberio. Il suo nome compare tra i partecipanti al Concilio di Sardica (antico nome di Sofia in Bulgaria), tenutosi nel 342-343, nel quale si confermarono le decisioni del Concilio di Nicea, e cioè che Gesù Cristo è Figlio di Dio, non semplice uomo, creatura di Dio, con inizio nel tempo, come sosteneva Ario. Riaffermare la divinità di Gesù Cristo, Dio e uomo, era fondamentale per la fede dei credenti. Se Gesù non era Dio come poteva essere considerato Salvatore? Severo, dunque, partecipò con convinzione al Concilio di Sardica e si fece portatore e difensore del credo niceno nella sua predicazione e missione di vescovo.

La Parola di Dio odierna ci aiuta ad entrare nella missione di san Severo, vescovo di Ravenna, successore degli apostoli in questo territorio, che oggi, più che mai, ha bisogno di credenti tutti d’un pezzo, capaci di essere fedeli alla loro identità di cristiani, mantenendo un forte senso di appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Come vescovo di Ravenna si impegnò a consolidare le comunità cristiane, rendendole nuclei generatori di una evangelizzazione incisiva e creatori di una nuova cultura.

Nel brano tratto dalla Lettera agli Ebrei (Eb 12, 4-7.11-15) deriva a noi l’incoraggiamento ad essere santi, a lottare contro il peccato incessantemente, ad accogliere la correzione del Signore e a non perderci d’animo quand’Egli, con il suo insegnamento, ci ammonisce, ci sollecita a cambiare, a convertirci. In sostanza, la Lettera agli Ebrei ci sprona ad essere fedeli alla nostra chiamata, e a non dimenticarci della nostra altissima vocazione: essere figli di Dio nel Figlio Gesù Cristo. Il credente non può dimenticare Gesù, la Parola, il Vangelo, ovvero la Buona Notizia. Purtroppo oggi, più di una volta, si preferisce a Gesù, al suo insegnamento, quanto viene proposto dalla cultura dominante, dai mass media, che spingono ad assolutizzare il proprio «io», il proprio punto di vista, sino a ritenersi padroni della verità, nel senso che si pensa di esserne i creatori, gli unici interpreti. Oggi le persone reputano di essere fonte e misura esclusive della verità. E così dimenticano quanto Dio, mediante Gesù, ci insegna sulla vita, sulla felicità (basta pensare alle beatitudini), sul dono di noi stessi, sulla relazionalità (cresciamo attraverso il dono di noi stessi), sul matrimonio, sul perdono, sulla libertà religiosa, sul primato da dare allo spirito, sulla comunione con Lui, sul nostro compimento umano in Lui, sulla risurrezione. È pericoloso per la vita cristiana, ma anche per la vita umana, che si giunga ad amare noi stessi sopra ogni cosa. Quando mettiamo noi stessi al posto di Dio e della sua Parola si cade nell’idolatria, nell’adorazione di noi stessi. Mettendo al posto di Dio noi stessi, i nostri pensieri, gli ordini di scuderia di questa o quella aggregazione a cui si appartiene, le mode culturali che non distinguono più i sessi, rischiamo di diventare schiavi delle cose, dei beni materiali, di idee storte, di noi stessi, eretti a metro di misura di tutto. 

La correzione del Signore come la possiamo riconoscere? Come avviene? 

Sicuramente mediante la parola dei fratelli e delle sorelle che ci vogliono bene (l’evangelista Matteo ci parla della correzione fraterna personale e comunitaria: Mt 18, 15-18), dei sacerdoti che ci spiegano e ci propongono la Parola di Dio, ma anche mediante la lettura del Vangelo, il confronto con esso, la considerazione che quanto Gesù ci prone – Lui Verità somma, che non può proporci menzogne o falsità – non è per il nostro danno o il nostro male, bensì per il nostro bene, per la nostra crescita piena in Lui. La correzione la possiamo ricevere anche frequentando il sacramento della Riconciliazione nel quale ci mettiamo cuore a cuore con Gesù, riconosciamo il nostro sbaglio e facciamo il proposito di correggerci, per diventare sempre più degni di Lui, sempre più liberi. Noi che, in certo modo, ci riteniamo degli habitué di Gesù, che consideriamo la nostra vita cristiana un dato già acquisito (padre, io non ho peccati da confessare), non dobbiamo considerare Gesù una presenza qualunque, una persona che vale meno delle altre. La frequentazione superficiale di Lui ci può rendere abitudinari e farci dimenticare la sua realtà divina, la sua Trascendenza. C’è il pericolo di declassarlo, di considerarlo alla pari di tutti gli altri, se non di meno, sicché ci si mette nella condizione dei suoi compaesani di cui ci ha parlato il Vangelo secondo Marco (cf Mc 6, 1-6), per i quali, giacché lo vedevano come un semplice membro del loro villaggio, uno del quartiere, si direbbe in una città, e basta, non poteva compiere prodigi.

Solo se riconosciamo Gesù per quello che è, ossia il nostro Salvatore e il nostro Tutto, possiamo cambiare e convertirci. Solo con l’aiuto dello Spirito santo, il Maestro che ci aiuta a conoscerlo per intero, Egli diventa il nostro metro di misura e ci consente di pronunciarci su ogni problema dell’esistenza di oggi con chiarezza, partendo dal suo insegnamento, senza fuggire di fronte alle responsabilità. Cari fratelli e sorelle, come cristiani, ossia persone che appartengono a Cristo, ogni giorno dobbiamo esigere da noi la conversione. Detto diversamente, dobbiamo essere dediti ad un lavoro interiore, ad una crescita spirituale incessante, mediante la preghiera, la meditazione della Parola, la comunione Eucaristica, il sacramento della Riconciliazione, l’accompagnamento spirituale ricercato. San Severo, nostro patrono, ci aiuti e ottenga per noi un continuo cambiamento in meglio, affinché Gesù viva pienamente in noi, con la sua statura morale e spirituale. La nostra vita spirituale non deve spegnersi o essere ridotta ad un lumicino. Una spiritualità intensa e coltivata è garanzia di una perenne giovinezza e del futuro di questa comunità.