OMELIA per la ESALTAZIONE DELLA CROCE e CANDIDATURA al DIACONATO PERMANENTE

Russi, 13 settembre 2008
15-09-2008


Abbiamo incontrato la solennità dell’Esaltazione della croce in questa domenica che stiamo già vivendo nella celebrazione prefestiva, durante la quale accoglieremo la candidatura di un vostro fratello e amico Giulio Donati al diaconato permanente. È una coincidenza che illumina e arricchisce il breve rito che faremo, perché vedremo come il servizio al quale il diacono è destinato comporti seguire il Signore fino sulla croce.


Questa solennità introdotta verosimilmente per la dedicazione di una o di entrambe le basiliche costruite sui luoghi della passione,  vuole celebrare la croce come strumento di salvezza, che ha portato Gesù il Salvatore del mondo. Quindi non stiamo celebrando il mistero della passione, morte e risurrezione del signore Gesù, ma solo lo strumento della passione.


Tanto per farmi capire, una volta uno mi disse: ‘Nel nostro ufficio hanno messo soltanto la figura di Gesù senza la croce’, come usa adesso da parte degli artisti, e mi diceva: ‘E’ più importante la croce’. E io dicevo: ‘Hai ragione’, perché è quello il segno della nostra salvezza. Tanto è vero che nei primi secoli cristiani veniva rappresentata la croce, pensate a S. Apollinare a Ravenna, gloriosa, gemmata, luminosa perché il Cristo era risorto, non era più in croce.


E quando nell’epoca romanica hanno cominciato a raffigurarlo, lo raffiguravano vivo, con la corona in testa, i paramenti sacerdotali, gli occhi aperti, perché Cristo è vivo.


Nelle epoche successive hanno poi preso a rappresentare il Cristo nel momento della morte, o appena morto, ecc. Per dire che la celebrazione di oggi è questa: l’esaltazione della croce, cioè l’importanza di questo strumento, e anche il significato che questa parola ha preso nel nostro linguaggio.


Gesù ha detto: ‘Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo’, ricuperando quel episodio, che abbiamo sentito nella prima lettura, di Mosè che mette un serpente di rame sopra un’asta, anche questo come strumento di salvezza per il popolo che veniva aggredito dai serpenti. Cioè, il serpente che era strumento di morte diventa strumento di vita, così come la croce, che normalmente è uno strumento di morte. Anche per Cristo è stata strumento di morte, ma è diventata strumento che dà la vita.


Anche l’innalzare da terra, il sollevare, il guardare in alto, ci ricorda la gloria di Cristo. Anche questo significato lo possiamo trovare nelle parole del Signore Gesù, il quale dice nel Vangelo di Giovanni: ‘Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me‘ (12,32). C’è quindi il pensiero della gloria che sta al culmine della vicenda della crocifissione del Signore.


‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito; Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui’. Ecco come la croce diventa strumento di salvezza, per l’amore col quale Dio ci ha amato e ci ha mostrato questo suo amore nel suo Figlio fino a donarlo, sacrificarlo per la nostra salvezza.


Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio, ma perché crediamo che Dio ci ama. Questa è una delle tante differenze del cristianesimo; è una delle rivelazioni che fa la differenza del cristianesimo. Anche quando ci proviamo e vogliamo dimostrare giustamente di amare il Signore, non è questo l’essere cristiani, ma il sapere di essere amati, il sapere di essere stati oggetto di un amore così grande, per il quale Cristo è morto in croce. Ecco la croce come segno dell’amore di Dio per noi.


Quando nella tradizione cristiana si è cominciato a mettere la croce o anche il crocifisso dappertutto, non era per spaventare i bambini con un ‘cadaverino’ sulla croce, ma era per ricordare l’amore col quale Dio ci ha amato, fino a quel punto ci ha amato. E abbiamo bisogno di ricordare che Dio ci ama.


La gente che non vuole più vedere il crocifisso si dispera perché non crede più nell’amore di Dio. Anzi pensa proprio che Dio non gli vuole bene, perché non ci manda la pioggia quando aspettiamo la pioggia, non ci manda il sole quando aspettiamo il sole, perché non ci guarisce quando siamo ammalati e così via, e non sa che il segno dell’amore di Dio è la croce di Cristo.


Nella seconda lettura abbiamo sentito da S. Paolo il tracciato che ha fatto il Figlio di Dio quando è venuto per mostrarci l’amore del Padre. Da Dio che era si è fatto servo (in greco: doulos, cioè schiavo), ha preso la figura di uomo, è morto, è morto in croce, ma Dio gli ha dato un nome, che è il Signore (Kyrios).Quindi possiamo dire che c’è una parabola che Cristo ha fatto per mostrarci il suo amore, e così facendo ha ricuperato un nuovo titolo di gloria, che è la signoria sul mondo.


È questa signoria che la Chiesa riconosce nel tempo e vuol servire nei fratelli, che sono un segno di Cristo. Quindi possiamo dire che il servizio, che anche il diacono ricorda nella Chiesa, nasce principalmente da Cristo Signore, alla cui signoria tutti devono servire nella Chiesa, la quale serve la signoria di Cristo nei fratelli. Quindi non è tanto per imitare il servizio che Cristo ha fatto dando la vita per noi, ma proprio per servire la sua signoria. È molto bello questo passo di S. Paolo che ci fa collocare al posto giusto il servizio che il diacono ci ricorda.


 


Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io là sarà anche il mio servo‘ (Gv 12,26). Per svolgere il servizio non si tratta di inventare delle cose da fare: primo bisogna seguire Cristo. Poi Gesù dice in Matteo: ‘Se qualcuno vuol venire dietro a me, quindi mi vuole seguire, rinneghi se stresso, prenda la sua croce e mi segua’ (Mt 16,24). Anche qui c’è un concatenamento di atteggiamenti posti dal Signore: il seguire, il servire, la croce.


Sono atteggiamenti spirituali, ma sono atteggiamenti che troviamo nella Chiesa svolti da qualcuno, perché questi atteggiamenti siano vivi e presenti e siano realizzati.


Per i discepoli di Cristo ci sono alcune parole chiavi: koinonia, che è la comunione dono dello Spirito santo; liturgia, perché tutto nasce e tutto finisce nell’Eucaristia, nella liturgia, nel culto, nel riconoscere il nostro Dio, nel lodarlo anche con la preghiera liturgica; diakonia, che è il servizio della carità; martyria, la testimonianza della vita fino al sacrificio. Queste parole ci dicono la vita della Chiesa in alcuni aspetti fondamentali. Nella Chiesa per mantenere viva questa realtà, ci sono i ministri: i ministri della liturgia sono i presbiteri, i ministri della diakonia sono i diaconi, che vengono ordinati per il servizio.


Concludiamo questa riflessione che è partita dalla croce posta alla nostra attenzione quest’oggi. Vogliamo accogliere la disponibilità di Giulio a fare il percorso di preparazione al diaconato, perché prima di chiedersi che cosa deve fare, ci si deve chiedere chi deve essere il diacono. Abbiamo sentito che deve essere uno che è dentro la Chiesa-comunione, e sa che deve collaborare con i doni dello Spirito per creare unità, comunione, pace nella Chiesa; è uno che sa che deve pregare, e quindi collabora al culto, alla liturgia col presbitero; sarà accanto all’altare,una volta che sarà ordinato, perché anche lui prende di lì la forza e la ragione del suo servizio; dovrà esercitare la diaconia senza esaurirla, ma animandola, provocandola.


Qualcuno ricorda che anche i preti e il Vescovo diventando preti e vescovo rimangono diaconi. Il diacono ha questo dono preciso di ricordare che la comunità la Chiesa, tutti siamo a servizio. E tutti dobbiamo dare la nostra testimonianza di vita, compreso il sacrificio, che può essere anche il martirio. In questi giorni sentiamo l’esempio dell’India perché oggi fa notizia quella, ma continuano i martiri in Cina, in Africa, in America latina e in tutto il mondo dove c’è aggressione ai cristiani. Viene chiesto sacrificio e testimonianza anche qui dove viviamo noi, dove il cristiano magari è soltanto preso in giro.


Noi sappiamo che servire Dio è regnare, e siamo lieti di poter servire Cristo Signore che ci ha amato fino a questo punto, nella libertà dei figli di Dio, nella comunione della Chiesa.


Ecco come la liturgia ci ha aiutato a vedere questo rito che adesso compiamo, accogliendo la candidatura per la preparazione al diaconato permanente di Giulio Donati, ringraziando il Signore e lui per questo dono.