OMELIA per il Servo di Dio DANIELE BADIALI

16-03-2014


La seconda domenica di Quaresima è sempre caratterizzata dal racconto della Trasfigurazione, il mistero che annuncia la gloria di Cristo nella sua Risurrezione. Ma prima della gloria la Trasfigurazione ci presenta il coinvolgimento  di ogni discepolo che vuole seguire Cristo. Si tratta della risposta alla chiamata di Gesù.


Il primo a rispondere a Dio nella storia della salvezza fu Abramo: ‘Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò’.  Abramo mostra concretamente la sua fede in Dio lasciando la propria patria e andando verso un luogo noto solo a Dio. Anche Gesù chiama a seguirlo quelli che egli vuole e, in un’altra situazione, prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li conduce in disparte, su un alto monte.


San Paolo afferma: ‘Egli ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia’. La vita cristiana è sostanzialmente una continua risposta al Signore che ci ha chiamati e ci chiama, ‘affinché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo’ (Ef 4,13). Il Concilio, nella Lumen Gentium parlerà in modo esplicito della universale vocazione alla santità nella Chiesa.


Tutti santi, ma ognuno secondo il progetto personale che Dio fin dall’inizio ha per ciascuno di noi, lungo un percorso che sarà conosciuto del tutto solo alla fine. E intanto agli apostoli sul Tabor  vengono date alcune indicazioni che, seppure in misura diversa, valgono per tutti.


Gesù mostra la sua gloria insieme a Mosè ed Elia, la legge e i profeti, che, dirà S. Luca, ‘parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme’ (Lc 9,31); è un modo velato, ma non tanto, per dire che è attraverso la croce che si giunge alla gloria.


Pietro voleva rimanere in quella situazione di gioia, ma ‘una nube luminosa copre tutti con la sua ombra’; è la nube che nasconde e rivela la presenza di Dio, nella condizione che ci è concessa ora, finché siamo nel tempo.


E c’è un’altra esigenza ricordata dalla voce che esce dalla nube: ‘Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento.  Ascoltatelo’.


E alla fine gli apostoli, dopo che Gesù li ha invitati a non temere, ‘alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo’. È lui la via che conduce alla vera vita.


Vediamo ora la vocazione nella vita di P. Daniele, come lui l’ha avvertita e come ha cercato di rispondere. È lui stesso che in parte racconta l’inizio del suo cammino, scrivendo al vescovo Tarcisio Bertozzi per chiedere di essere ammesso tra i candidati al diaconato e presbiterato (pag. 83s).


‘Fare la storia della mia vocazione non è facile. Da una parte ritrovo la radice dell’educazione cristiana ricevuta sin da piccolo in famiglia. Questa radice antica la riconosco bene ora a distanza di anni, e mi rendo conto quanto sia stata importante’. Coerentemente insieme al Battesimo i genitori hanno favorito, mediante l’educazione, il percorso di vita cristiana che da esso inizia.


Poi c’è un altro snodo decisivo, che P. Daniele conosce bene. ‘L’altro fattore importante, scrive ancora, è stata l’attività svolta a favore dei più poveri nel movimento giovanile dell’Operazione Mato Grosso iniziata all’età di 16/17 anni. Questo lavoro mi ha portato ad approfondire il senso del donare la vita con i giovani per i più poveri attraverso l’impegno concreto, il lavoro e il sacrificio. Sentendomi chiamato ad una vita di donazione per i più poveri mi sono lasciato vedere da don Ugo De Censi fondatore dell’Operazione, il quale ha intravisto in questo mio desiderio una chiamata del Signore’. Possiamo dire che il Signore aveva preparato il suo agguato per prendere con sé anche Daniele, che ha capito. Anche per lui vale la risposta di Geremia:  ‘Tu mi hai sedotto Signore e io mi sono lasciato sedurre’ (Ger 20,7).


Daniele poi parte per il Perù. ‘In questo periodo di due anni vissuto a Chacas aiutato da don Ugo si è fatto sempre più chiaro in me il desiderio di poter donare la mia vita al Signore come sacerdote in mezzo a quella gente povera’.


Il cammino più impegnativo comincia proprio quando da prete deve fare da padre a tutti coloro che lo cercano e che lui deve aiutare ad incontrare Gesù. La vocazione continua nell’ascoltare Gesù: ‘È una grande fatica restare uniti a Gesù, quando tutto intorno a te va in senso contrario. Bisogna dare via tutto, ascoltare la voce di Gesù e metterla in pratica’ (pag.158).  Scrive ad un amico seminarista: ‘Il Signore ti ha dato la vocazione, il sì dipende da te non da altri’ Io ti assicuro che vale la pena, non cambierei vita, anche se costa sacrifici e penitenze e ci si trova incompresi dal mondo attuale che vuole l’uomo al centro e sempre pronto a godere e a manovrare la propria vita” (pag. 167).


E a un certo punto si chiede: ‘Come fare tornare la nostra gente a Dio?? Quel Dio che ha fatto cambiare la vita ad Abramo, ai profeti, agli Apostoli”(pag. 175).


È molto preso dalla sua missione di parroco, che vive nella responsabilità più profonda, quella di portare le anime a Dio. ‘Così, ora, sono chiamato ad essere padre di questa povera gente’ Non ho scelto io di essere padre, la gente mi chiama padre. Mi ritrovo addosso una parte di cui avverto in pieno la mia incapacità. Come condurre questa gente a Dio? Ma se sono io il più perduto in questo mondo, che tradisce ogni giorno il Dio della vita per false luci che si è costruito da solo credendo di poter fare a meno di Dio! Alla fine sento solo il desiderio di convertire la mia vita per incontrare un giorno Gesù’ (pag. 357s).


Eppure l’esperienza spirituale di P. Daniele non gli fa vedere altro che Gesù; è questo il suo assillo quotidiano, di cui si trova traccia in molte sue lettere.  Scrive: ‘Mi ritrovo col solo desiderio di cercare Gesù e di obbedire alla sua volontà’ (pag. 160); ‘Se non fosse per Gesù non sarei qui’ (pag. 126); e ancora: ‘Ogni passo è fatto solo nel nome di Gesù, perché Lui entri nel nostro cuore, Lui ne sia il padrone’ Sento che solo così posso sperare di incontrarlo alla fine della mia vita! Quanto lo desidero, non vorrei vivere a lungo per non tradirlo più di quanto stia facendo già e per poterlo incontrare presto. Vorrei essere in piedi, vigilante a questo incontro” (pag. 177).


E l’incontro arriverà nel marzo 1997. È l’ultima chiamata. ‘Tu rimani, vado io’ è una scelta di generosità istintiva. P. Daniele sta rispondendo a Dio che in quel momento lo stava chiamando, come fece un giorno con Abramo e con tutti i suoi discepoli: ‘Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela, dai tuoi amici verso la terra che ti indicherò, verso la patria che è nei cieli”


E padre Daniele partì, come gli aveva ordinato il Signore.