Omelia per il LXXIII anniversario dell’Eccidio di Crespino

23-07-2017

Oggi la Parola di Dio (cf specie Mt 13, 24-43) ci sollecita, mentre commemoriamo l’eccidio che ha insanguinato questo territorio, a riflettere sulla parabola del seme buono e della zizzania.

Il mondo, ma anche ciascuno di noi, viene seminato col buon seme. E, tuttavia, anche il nemico del Seminatore, ossia il diavolo, col favore delle tenebre, sparge un seme cattivo, la zizzania, che cresce assieme al buon seme. La famiglia umana e noi siamo terreno ove intrecciano le loro radici, talvolta inestricabili, il bene e il male. Siamo campo in cui si scontrano bene e male.

Si tratta di una parabola molto istruttiva. Essa si presta a rivivere l’eccidio di Crespino, che ha visto barbaramente trucidati molti innocenti con il loro parroco, in modo non solo da ricordare simile tragedia ma anche per trarne insegnamenti per il futuro e per costruire un mondo ove la guerra e le ingiustizie siano sconfitte. L’atteggiamento di pazienza che Dio usa nei confronti del campo in cui sono seminati il seme buono e il seme cattivo ci insegna una metodologia che spesso dimentichiamo nella educazione delle persone e nella costruzione delle società.

I servi del padrone vorrebbero rimediare al male sradicando in maniera decisa e violenta le piante cattive senza badare al fatto che ciò potrebbe danneggiare le piante buone. In noi c’è sempre la tentazione di risolvere i problemi con misure drastiche ed autoritarie. A fronte dei mali odierni, invochiamo spesso le maniere forti, prospettando anche la riduzione delle libertà fondamentali, assumendo decisioni miranti a debellare il male con la forza, senza peraltro pensare ad investire opportunamente nella prevenzione, nell’accompagnamento delle persone che sbagliano, senza considerare che il male si può vincere più efficacemente col bene.

Le nostre società, sempre più prive di una cultura adeguata, si mostrano maggiormente reattive al male invece di essere capaci di prevenzione rispetto ad esso. Il metodo che ci offre il Signore Gesù appare chiaramente positivo e incentrato su di essa. Egli non è imparziale rispetto al seme buono e al seme cattivo. Egli guarda al seme buono, alla parte migliore di noi e la difende da bruschi scossoni e attacchi. Detto altrimenti, il Signore ci insegna a puntare anzitutto sull’affermazione del bene in noi, prima ancora di preoccuparci delle erbacce, della zizzania che, però, sarà raccolta per prima, e legata in fasci, per essere bruciata. Sovente il male convive con noi e non può essere debellato del tutto, perché questo non sempre dipende da noi. Ma verrà il tempo della mietitura, ossia del giudizio e della separazione tra piante buone e piante cattive.

Impariamo da quanto insegna Gesù. Diventiamo soprattutto terreno in cui il buon seme germoglia e matura tenacemente al sole. Seminiamo il buon seme, amiamo la vita, proteggiamo ogni germoglio buono. Siamo indulgenti con tutte le creature e con noi stessi.

Se desideriamo una società senza eccidi e guerre ingiuste seminiamo verità, libertà, giustizia e amore. Poniamo il seme della verità nelle istituzioni e nelle legislazioni. Oggi, purtroppo, non si riconosce una verità che non sia quella che noi assolutizziamo. Per molti non esiste una verità universale. Esiste solo il proprio punto di vista, il proprio io, che diventa spesso «Dio». Gli stessi valori fondamentali della Costituzione sono messi in discussione non solo da molti cittadini ma anche dai rappresentanti politici: il lavoro, la vita, la famiglia, la libertà religiosa. E così si perdono riferimenti certi. Cresce il disorientamento. Non si rispettano, di conseguenza, le istituzioni, il sapiente, la Chiesa. Nemmeno Gesù Cristo viene risparmiato. Non è ritenuto Salvatore, bensì un uomo come tutti gli altri. Per seminare la verità occorre prima percorrere il sentiero dell’umiltà, quello che la ricerca assieme agli altri, la trova e la venera, con la disposizione ad approfondirla e a non barattarla con il proprio tornaconto.

Occorre seminare anche la libertà, non quella che viene intesa come la capacità di scegliere qualsiasi cosa, senza considerare il diritto altrui, senza prendersi cura dell’altro, del suo bene. La libertà autentica non è senza limiti, si lega alla verità, al vero bene dell’altro, ai doveri e ai diritti.

Dobbiamo diventare anche seminatori di giustizia. Essa dà a ciascuno il suo secondo la sua dignità e il suo merito. Presuppone il bene dell’altro, il suo diritto. Non si può essere giusti se non si onora la verità e la libertà propria e altrui, il bene comune, che purtroppo sembra essere scomparso dall’orizzonte della stessa politica.

Dobbiamo anche seminare amore. Le persone crescono grazie ad esso. Attraverso il dono generoso di sé.

Se manca uno dei quattro semi sopramenzionati nel campo delle nostre società e dei nostri cuori mancano tutti. Uno non può esistere senza gli altri. Essi stanno o cadono insieme. Vanno seminati tutti, nessuno escluso, per costruire una società più fraterna, giusta e pacifica.

In un contesto in cui cresce l’indifferenza nei confronti dell’altro, specie se diverso, in cui spesso i beni-valori fondamentali sono stravolti, occorre ritornare ad investire nell’educazione, nella creazione di condizioni sociali che consentono di conseguire il bene comune, ossia il bene di tutti. In una società che ama la verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà non possono esserci giovani disoccupati, sino al 56%, come nelle Regioni del Sud. Un Paese che non affronta seriamente la piaga della disoccupazione giovanile non è un Paese che previene i mali sociali, comprese le violenze. Prima o poi deve aspettare di subirne le conseguenze.

Per essere persone credenti e di buona volontà, nonché costruttori di società ove si prevengono e non solo si combattono i mali, chiediamo aiuto al Signore Gesù, perché ci dia il buon senso di curare la buona semente, per divenire seminatori di essa nella vita quotidiana, per essere terreno ricettivo della Parola oggi proclamata.