Cari fratelli e sorelle, care famiglie,
la celebrazione del Giubileo della misericordia per la famiglia coincide con l’invito di san Paolo a ravvivare in noi il dono di Dio (cf 2 Timoteo 1, 6-8.13-14). Di cosa si tratta? Occorre accrescere lo Spirito di forza, di carità e di prudenza che ci è stato affidato mediante il Battesimo, la Confermazione e gli altri sacramenti, compreso quello del matrimonio per gli sposi. Come possiamo farlo? Il brano del Vangelo ci fa capire che ciò è possibile aumentando la nostra fiducia in Dio. Per compiere prodigi d’amore, basta anche una piccola fede, quanto un granello di senape. L’importante è riconoscere che abbiamo bisogno di Lui, e che Lo amiamo con tutto il cuore. Una fede autentica riesce a rigenerarci nell’adesione a Gesù Cristo, a renderci discepoli pienamente disponibili a servire il Maestro e il prossimo, a volere la vita piena che Egli ci propone. La fede cresce mediante la preghiera e il servizio.
Il vero discepolo ama Gesù Cristo disinteressatamente. Si considera un «servo inutile» (cf Lc 17,5-10), nel senso che non si attende un tornaconto, una resa, un riconoscimento particolare. Gli basta essere colmo dell’amore di Cristo, essere come Cristo, ossia servo. Questa è la ricompensa ricercata. Chi è colmo dell’amore di Cristo gli basta il suo Spirito. Ne è pienamente appagato e non ricerca altro. Al pari di santa Teresa d’Avila che scriveva: «Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta!». La stessa santa Teresa descriveva lo stato d’animo del discepolo che ama, con queste brevi ed efficaci espressioni: «Il tuo desiderio sia vedere Dio, il tuo timore perderLo, la tua gioia sia ciò che può portarti verso di Lui e vivrai una grande pace».
In questo contesto liturgico e biblico, il giubileo della famiglia deve divenire momento in cui si cresce nell’amore disinteressato a Cristo. I genitori hanno bisogno di vivere costantemente con la passione degli innamorati. Il loro amore reciproco cresce a partire dall’incontro che si rinnova con Gesù Cristo. Chi ama Gesù ama come Lui. Se l’incontro con Gesù non porta ad una crescita del muto amore, i genitori non vengono salvati dal pensare, in definitiva, ognuno a sé, senza voler essere per l’altro. I loro singoli «io» non vengono liberati dalla voglia di attirare l’altro nella propria sfera per servirsene, per soggiogare. La maturazione affettiva degli sposi rimane acerba e non formano un «noi» adulto. Solo l’amore di Cristo spinge ad andare incontro all’altro, senza aspettare che sia l’altro a manifestare il suo bisogno. Lo sguardo dell’innamorato è sempre rivolto verso chi ama.
La vera questione, pertanto – lo sanno bene gli sposi per esperienza – non è essere innamorati. È l’essere capaci di rimanere nell’amore. E ciò è propriamente un problema di fedeltà. «Innamorarsi significa amare senza condizioni e restrizioni, nemmeno di tempo, accogliere incondizionatamente l’altro, non per un calcolo interessato, ma attratti dalla bellezza totale del tu, una bellezza che non è solo esteriore, e un’attrazione che non è solo dei sensi, ma di tutto l’essere, misteriosa, che determina la consegna totale di sé nelle mani dell’altro, e che avrà bisogno di un tempo lungo, di una vita intera per manifestarsi in tutta la sua fecondità».
I genitori cristiani sanno di appartenere ad una storia d’amore, che ha inizio nel cuore del Padre e che non è ancora terminata. Essi, come peraltro i sacerdoti, i religiosi, vivono in mezzo a questa storia d’amore che li chiama al dono, al servizio della vita, all’educazione della fede, finché Cristo non sia formato nei figli. Quale sarà la ricompensa dei genitori? Quale ricompensa immagineranno di avere? La loro ricompensa più piena e soddisfacente sarà semplicemente la gioia di aver messo interamente a disposizione la loro esistenza perché altri diventino capaci di fare altrettanto. Chi vive nell’amore di Cristo non pensa ad altro se non a tale amore, se non a generare persone gioiose nel dono di sé e nell’annuncio di Cristo.
So che avete riflettuto sul legame tra le generazioni. Solo chi si immerge nella storia dell’amore misericordioso, con cui Dio ha voluto inondare l’umanità, è capace di coltivare un legame virtuoso tra le generazioni. Chi coltiva nuove generazioni, capaci di dono, pone la premessa o, meglio, la garanzia di una storia davvero umana. Una società di figli incapaci di dono e, quindi, incapaci di onorare i genitori diventa una società senza onore, ricorda papa Francesco nell’Amoris laetitia (=AL n. 189). È destinata a riempirsi di giovani aridi ed avidi. E così anche i nonni, dei quali oggi celebriamo la festa, finiscono per essere dimenticati e messi in disparte.
I genitori che vivono in pienezza la misericordia di Dio concorrono a rinsaldare la catena di solidarietà che unisce le generazioni nel ricevere e nel dare. Gli anziani, i nonni sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna (cf AL n. 191). All’interno della continuità della vita, irrobustendo quel legame che tiene unite le generazioni, gli anziani continuano ad essere dono in molti modi, ricucendo gli strappi, iniziando spesso i piccoli a quella vita cristiana che stringe le varie generazioni in una famiglia più che umana, ove la fede fa vivere tutti dello stesso amore: l’amore di Dio Padre, del Figlio e dello Spirito santo. I nonni contribuiscono a crescere una storia collettiva di fratelli, più di quanto non pensiamo.
Cari sposi, viviamo la misericordia divina. Perdoniamo. Perdoniamoci. Solo così risplenderà nelle famiglie la gioia dell’amore. Per far risplendere questa letizia il papa ha indirizzato alle comunità cristiane del mondo l’esortazione apostolica che tutti conosciamo. Per renderla più fruibile si è pensato di istituire una serie di incontri, che saranno tenuti nei mesi di gennaio e febbraio prossimi, presso il Seminario nuovo. Si tratta di momenti offerti a tutti, specie a coloro che lavorano nella pastorale famigliare, nel consultorio, nelle varie associazioni, ma anche ai diaconi, ai catechisti che si impegneranno a far risuonare davanti alle famiglie e in mezzo ad esse il primo o il secondo annuncio. Le nostre comunità dovranno compiere una rilevante conversione pastorale, per la cui realizzazione le forze in campo non appaiono sufficienti. Ciò obbliga a costruire maggiori sinergie tra tutti coloro che si interessano al bene della famiglia cristiana. Non dimentichiamo che l’impegno a far risplendere la gioia dell’amore va di pari passo, come ha suggerito anni fa la Familiaris consortio del santo Giovanni Paolo II, ad una pastorale famigliare attenta a far maturare associazioni di famiglie capaci di elaborare progetti di politiche famigliari volte a sostenere in particolare quelle famiglie che, grazie alla stabilità e fecondità del loro patto d’amore, offrono un servizio prezioso alla società, all’economia, al welfare e al mondo. Spesso ci si lamenta che la famiglia cristiana viene distrutta. In Georgia papa Francesco ha detto che la teoria del gender è una guerra mondiale contro il matrimonio. Poco, però, si fa, da parte dei cattolici, perché non venga frantumato. Già Pio XII sollecitava: non lamento, ma azione!
Un ringraziamento particolare vada a tutti coloro che hanno lavorato intensamente alla riuscita di questa giornata del Giubileo della famiglia, in particolare ai responsabili della pastorale famigliare. Dio sia la loro ricompensa più grande ed attesa.
La partecipazione a questa Eucaristia ci rinsaldi tutti in un amore disinteressato, che è anche fondamento della spiritualità coniugale e famigliare.