Omelia per il Campo Nazionale Giovani di AC e MSAC

05-08-2017

Cari giovani, benvenuti in questa Diocesi. Benvenuti a Fognano. Vi salutano, in particolare, i giovani, vostri coetanei. Il brano del Vangelo secondo Matteo (cf Mt 14, 1-12) ci ha presentato il «martirio» di Giovanni il Battista, precursore di Gesù. Egli denunciò con coraggio la passione morbosa di Erode e per questo morì vittima innocente. Giovanni Battista è testimone coraggioso, coerente, tutto d’un pezzo. L’annuncio della venuta del Salvatore esigeva conversione, vita nuova. Ma il re si comportava indegnamente. Di qui la condanna della sua vita dissoluta da parte di Giovanni.

La testimonianza del Battista ci ricorda la nostra vocazione di testimoni credibili di Cristo e del suo Vangelo. Domandiamoci. Noi oggi siamo, nei vari ambienti di vita, persone che hanno la capacità di annunciare e di testimoniare Gesù? O, invece, arrossiamo, balbettiamo o tacciamo di fronte a chi disprezza la proposta di vita della sua Chiesa? Il Sinodo dei giovani, indetto da papa Francesco, dovrebbe aiutare a prendere coscienza dei propri compiti, della vocazione a vivere la Gioia, ossia Cristo. Nelle intenzioni di papa Francesco i giovani sono chiamati ad essere protagonisti del Sinodo. Come? Facendo un Sinodo da soli? No. Il Sinodo, come dice la parola, è un camminare insieme. Il Sinodo dei giovani, pertanto, dovrà essere fatto dai giovani con le altre componenti ecclesiali. Insieme ci si interrogherà sugli aneliti più profondi dei giovani, sulla pastorale giovanile delle comunità parrocchiali, sulla capacità di queste di comunicare e di intercettare i bisogni della gente; si apriranno dialoghi con quei giovani che hanno abbandonato la pratica della fede, si parlerà del ruolo dei giovani dentro la catechesi, nella costruzione della chiesa-edificio spirituale, nell’impegno missionario e caritativo, ed anche nella costruzione di una società più fraterna, giusta e pacifica, vivendo la dimensione sociale della propria fede. Papa Francesco a Cracovia ha invitato i giovani a non stare a guardare dalla finestra, o a non stare sul divano, lasciando altri a decidere del futuro della società. Sono i giovani che devono decidere del loro futuro, e sono chiamati a costruirlo con le loro mani, assieme a tutti gli altri, ovviamente, convivendo nella diversità, condividendo la multiculturalità.

In definitiva, si dovrà uscire dall’esperienza del Sinodo – a cui sono chiamati a partecipare tutti i giovani credenti, ma non solo -, come persone e come credenti più maturi, ossia più capaci di assumere le proprie responsabilità nella Chiesa e nella società; divenendo più consapevoli che le sorti dell’annuncio del Vangelo nel nostro territorio e in Europa, come dell’accompagnamento dei più giovani, dipenderà dal fatto se i giovani di oggi sapranno dire, come Maria, la Madre di Gesù: «Eccomi!».

Nel cammino della crescita cristiana, specie della missionarietà, si possono incontrare almeno due ostacoli. Il primo: avere paura di essere e di dirsi di Cristo, di sentirsi suoi, di appartenerGli. Oggi molti credenti, che sono battezzati e cresimati, si comportano come se la loro vita non fosse di persone che sono di Cristo, abitate da Lui, strutturate a sua immagine e, quindi, destinate a crescere come figli di Dio in Gesù, il Figlio per eccellenza. Per molti giovani, la fede che professano non li porta a vivere Cristo, a fare le sue scelte, dimorando in Lui, vivendo i suoi stessi sentimenti, lottando contro il male con il bene. Scelgono spesso la strada più comoda, il modo di pensare dei più, le mode. La fede, per loro, è qualcosa che si può togliere come un vestito, non appena la fedeltà a Gesù e al suo vangelo diventa impegnativa, costosa, scomoda. Basta il luccichio di un tornaconto o una piccola difficoltà di relazione con il proprio parroco per abbandonare la propria comunità. Il secondo ostacolo: il pericolo di partecipare ai sacramenti e di pregare in maniera superficiale, infruttuosa, senza incontrare realmente Gesù. Può capitare che si va all’incontro con Lui pensando solo a noi stessi, ai nostri problemi e alla loro soluzione. E, così, si rischia di strumentalizzarLo, incontrare solo se stessi, le proprie preoccupazioni, ma non Gesù. Finiamo per non vederlo, per non ascoltarlo, per non toccare la sua mano, per non offrirci a Lui. In sostanza, si rimane autoreferenziali, chiusi in se stessi, senza donarsi e mettere a disposizione la propria vita per Lui, per la Chiesa e per l’umanità.

Cari giovani, se desideriamo di diventare cristiani adulti nella fede, capaci di annuncio e di testimonianza credibile, dobbiamo crescere secondo la nostra identità più profonda – siamo esseri cristoconformi, strutturati a tu – e non da schizzofrenici, ossia ignorandola o addirittura contrastandola. Lo schizzofrenico è proprio colui che non si accetta per quello che è, e rifiuta se stesso, coltivando degli «io» incompatibili con il suo essere di Cristo. Non pochi credenti, compresi diversi cattolici che militano in politica, si comportano nelle loro scelte in maniera discorde rispetto alla loro fede.

Dobbiamo crescere, poi, nell’intimità con l’Inviato, Gesù, il missionario per eccellenza. Dall’incontro contemplativo con Lui scaturirà la gioia del dono, della missione, di essere lievito, di partecipare alla creazione di cieli e terra nuova. Tre impegni concreti, dunque: eucaristizzarsi, ovvero unirsi a Cristo e farsi offerta a Dio e pane per gli altri; pregare, incontrando davvero il Signore Gesù, per offrirsi ogni giorno come Lui, in Lui; non aver paura della propria identità, esserne, invece, fieri. Dall’essere suoi derivano passione di vivere per il bene e per Dio, specie per gli ultimi, i più poveri.