Omelia nella festa della Natività di Maria a Boncellino

03-09-2017

In questa domenica XXII.ma del tempo ordinario, anno A, la comunità di Boncellino, nel giorno della festa patronale onora la Natività di Maria. In questa santa Messa, dunque, oltre all’invito di Gesù a prendere su di noi il giogo del suo amore, terremo presente il significato della festa di Maria nascente. Innanzitutto, con una simile festa ci viene ricordata la nostra vocazione ad essere santi ed immacolati, sull’esempio di Maria santissima. Dio, in Maria immacolata, si prende la rivincita rispetto al fallimento iniziale, quando Adamo ed Eva ruppero la loro comunione con Lui disobbedendogli. In Maria ricrea un’umanità nuova che si dimostrerà fedele a Lui in tutto e per tutto. Maria che nasce restituisce a noi la figura dell’umanità perfetta, nella sua immacolata concezione umana, stupendamente corrispondente all’idea creatrice di Dio. In secondo luogo, la festa di Maria, creata in piena comunione con Dio, ci ricorda che siamo chiamati a diventarne casa. Una casa fatta di «carne», e cioè persone che diventano abitazione di Dio, che credono alla Parola di Dio che diventa umanità, e la amano sopra ogni cosa. Persone che seguono solo Lui, lo ascoltano sino alla Croce. Persone che, divenendo dimora di Cristo, sono gioia e gloria della Chiesa, il suo onore e la sua forza. La Vergine di Nazareth non è una persona isolata dal mondo, solitaria. Ella ne vive i problemi, soffre le guerre, i conflitti, le ingiustizie, l’offesa alla dignità delle persone, specie quelle più umili ed indifese, come Lei. Desidera redenzione, pienezza di vita per tutti. Per questo, all’annuncio dell’angelo, sebbene non tutto le risultasse chiaro, si mette prontamente a disposizione per essere Madre di Dio. È donna che non si rassegna al male, all’insuccesso. Desidera un’umanità nuova, più fraterna e giusta, per sé, per le donne e per gli uomini di tutto il mondo. Comprende che la propria salvezza e grandezza spirituale e morale consisterà nel diventare Madre del Figlio di Dio, nell’essere colei che offre la sua persona, il suo grembo di donna perché in essi si formi il tessuto corporeo e la sensibilità umana di un Dio che si incarna.

In terzo luogo, nel giorno del genetliaco di Maria, ricordiamo che Dio l’ha pensata come donna che dona al mondo intero il Salvatore. Anche noi siamo chiamati ad ospitare Dio nella nostra vita per regalarlo agli altri. Cari fratelli e sorelle, non raramente incontriamo credenti che si vantano dei loro meriti nei confronti della loro comunità, quasi fossero gli unici salvatori della situazione, i veri ed unici missionari. Come scrive papa Francesco nell’Evangelii gaudium (=EG), invece di evangelizzare alcuni credenti analizzano e classificano gli altri (cf EG n. 93), ponendosi sopra un piedestallo rispetto a loro. Anziché facilitare l’accesso alla grazia si consumano nel controllare la situazione e nell’orientarla secondo il proprio punto di vista. La missione di Maria si è centrata su Gesù Cristo, nell’offrirlo agli altri in maniera spassionata e generosa, senza precondizioni. La sua preoccupazione principale era che il Figlio di Dio fosse accolto dall’umanità, nella storia. Dalla Vergine, Madre di Dio, dobbiamo imparare che nell’evangelizzazione non siamo noi il polo centrale, bensì Gesù Cristo, del quale tutti debbono fare esperienza: Lui è il vero Salvatore. Il prossimo Sinodo dei giovani sarà l’occasione per mobilitare tutte le componenti della comunità nell’unica missione, a partire dalla comunione con Dio e tra di noi. La missione è passione per Gesù e, al tempo stesso, passione per il suo popolo. Tutti, nella comunità cristiana compresi i giovani, debbono diventare protagonisti nella costruzione dell’edificio spirituale, che è la Chiesa. Tutti sono chiamati a vivere Cristo nel sociale, perché la fede è intrinsecamente sociale. Dobbiamo gareggiare nello stimarci a vicenda, a collaborare generosamente per la causa comune che è l’annuncio e la testimonianza di Cristo. Impariamo sempre di più lo stile sinodale, che implica un camminare insieme. Un tale stile è inscritto nel nostro DNA di persone strutturate ad immagine della comunità trinitaria. In vista di ciò, come ci suggerisce il Vangelo odierno (cf Mt 16,21-27) prendiamo la nostra croce, ovvero una vita che assomiglia alla sua. La vocazione del discepolo non è subire il martirio della croce ma vivere da Messia, come lui, prendendo su di sé il giogo dell’amore, tutto l’amore di cui si è capaci e che viene da Dio.