MEDITAZIONE in occasione della VEGLIA di SAN VALENTINO e del GIUBILEO dei FIDANZATI

Faenza - S. Ippolito, 13 febbraio 2016
13-02-2016
  1. Un amore più grande

Per la Veglia di san Valentino e il Giubileo dei Fidanzati è stato scelto come tema ispiratore l’espressione «Misericordiosi come il Padre». E ciò non a caso. L’amore dei fidanzati inizia con un’attrazione quasi irresistibile dell’uno verso l’altra, e viceversa: l’innamoramento. In esso si vive un’esperienza unica. I due innamorati sembrano essere strappati dalla limitatezza della loro esistenza sino a promettersi un amore eterno, per sempre. L’amore che li attrae reciprocamente dà la sensazione di essere vittoriosi su tutto. Agli innamorati pare di essere onnipotenti, di essere una forza divina: omnia vincit amor.

Ma nell’innamoramento stesso si nasconde un’insidia. La promessa di un amore perenne tra due «tu», uniti in un «noi» di dono reciproco, è sempre esposta al rischio della fine. Ciò avviene quando c’è chiusura in se stessi e strumentalizzazione dei soggetti personali. L’innamoramento può diventare non la piattaforma di lancio bensì la tomba dell’amore, allorché non evolve e rimane solo allo stadio emozionale, di gratificazioni utilitaristiche: l’altro o l’altra non sono amati per se stessi ma prevalentemente per le sensazioni che provocano, senza le quali non si potrebbe stare.

Quando l’innamoramento è vissuto amando solo se stessi e i propri sentimenti ci si chiude all’amore che cerca il bene dell’altro o dell’altra. E così viene soffocata la promessa di un amore «per sempre» tra due «io». L’innamoramento che si nutre prevalentemente di passione e di istinto distrugge l’anelito all’incontro profondo con l’altro, fermandosi alla superficie delle relazioni, spesso alla sola fisicità. Ci si trova così di fronte alla fine di un grande sogno, espresso da brevi ma potenti parole: io per te, con te, per sempre. Tutto regredisce nelle forme di un amore possessivo, che si rinchiude e infrange l’unione dei due «tu». 

Celebrare il Giubileo della Misericordia è proprio l’occasione per gli innamorati e i fidanzati, ma anche per gli sposi, di rinsaldare il loro affetto e farlo sbocciare in una noi-comunione di persone che si accolgono e ricevono nella loro soggettività e libertà, nella complementarità e diversità della sessualità. L’amore vero consente di giungere al «centro» dell’essere delle altre persone. Diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso.  Non è nemmeno solo provare sentimenti di benevolenza. Ma è molto di più. È decisione ferma e perseverante di impegnarsi a volere il bene dell’amato, con disinteresse, amandolo non solo per se stesso ma in Dio. L’amore che diventa cura dell’altro, per l’altro, diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.

L’amore instaura durevolmente tra i fidanzati e gli sposi una reciprocità amante, un mutuo potenziamento d’essere, senza perdere la propria autonomia, senza confusione di ruoli, sino ad inabitarsi. L’amore introduce l’amato nell’amato, unisce e distingue le identità allo stesso tempo. Fa parte degli sviluppi dell’amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso – afferma papa Benedetto XVI nella Deus caritas est – cerchi la definitività. E ciò in un duplice senso: nel senso dell’esclusività – «solo quest’unica persona» – e nel senso del «per sempre» (cf Deus caritas est, n. 6).

  1. Vincere la paura del «per sempre»

Oggi ciò che rende incerti e fragili i fidanzamenti, pur prolungati nel tempo, è il dubbio se sia possibile amarsi «per sempre». È la paura della scelta definitiva. Si parte con entusiasmo, quasi volando sulle ali dell’amore, ma poi la prospettiva del legarsi per sempre scoraggia, sembra impossibile.

A dei giovani fidanzati che si preparavano al matrimonio e domandavano a papa Francesco un consiglio, egli li invitò a crescere e a costruire la casa della loro vita sulla roccia dell’amore vero, l’amore che viene da Dio. Per non lasciarsi sopraffare dalla «cultura del provvisorio» e per superare la paura del «per sempre» occorre aprirsi all’amore più grande di Dio.  La paura del «per sempre» «si cura giorno per giorno affidandosi al Signore Gesù in una vita che diventa un cammino spirituale quotidiano, fatto di passi – passi piccoli, passi di crescita comune – fatto di impegno a diventare donne e uomini maturi nella fede. Perché, cari fidanzati, il “per sempre” non è solo una questione di durata! Un matrimonio non è riuscito solo se dura, ma è importante la sua qualità. Stare insieme e sapersi amare per sempre è la sfida degli sposi cristiani. Mi viene in mente il miracolo della moltiplicazione dei pani: anche per voi, il Signore può moltiplicare il vostro amore e donarvelo fresco e buono ogni giorno. Ne ha una riserva infinita! Lui vi dona l’amore che sta a fondamento della vostra unione e ogni giorno lo rinnova, lo rafforza. E lo rende ancora più grande quando la famiglia cresce con i figli. In questo cammino è importante, è necessaria la preghiera, sempre. Lui per lei, lei per lui e tutti e due insieme. Chiedete a Gesù di moltiplicare il vostro amore. Nella preghiera del Padre Nostro noi diciamo: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Gli sposi possono imparare a pregare anche così: “Signore, dacci oggi il nostro amore quotidiano”, perché l’amore quotidiano degli sposi è il pane, il vero pane dell’anima, quello che li sostiene per andare avanti. Questa è la preghiera dei fidanzati e degli sposi. Insegnaci ad amarci, a volerci bene! Più vi affiderete a Lui, più il vostro amore sarà “per sempre”, capace di rinnovarsi, e vincerà ogni difficoltà» (Discorso ai fidanzati, venerdì 14 febbraio 2014).

Solitamente i giovani fidanzati pensano che la Chiesa e il Signore siano rispetto al loro amore degli importuni, dei guastafeste. Cari giovani, non è così. Il cristianesimo non dà da bere del veleno all’amore dei fidanzati e degli sposi, come pensava Friedrich Nietzsche. Non innalza cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta dal Creatore, offre una felicità che fa pregustare qualcosa del Divino. La Chiesa non rende amara la cosa più bella della vita. Aiuta a viverla nella sua essenza più profonda, quella del dono reciproco, che non si ferma nel piacere di un istante, in un incontro superficiale ma chiama a sollevarsi al di sopra del proprio «io», a trascendersi, guarendo l’istinto del ripiegamento su se stessi. L’amore umano, per il credente, è chiamato a diventare amore divino. L’acqua deve tramutarsi in vino. Tramite l’amore reciproco non si deve donare solo se stessi all’altro, ma si è chiamati anche a vivere l’amore di Dio, Dio stesso, l’agape, amore allo stato puro, donatoci mediante Gesù Cristo. Che mistero! Dio non è un intruso ma Colui che rende più vero l’amore dei fidanzati e degli sposi. La Chiesa, i sacerdoti, come i vostri genitori e i vostri nonni, desiderano per voi l’amore più grande, non la vostra infelicità. La Chiesa desidera esserne custode e vuole accompagnarvi perché diventi un’«estasi»: estasi non nel senso di ebbrezza, ma estasi «come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio» (Deus caritas est, n. 6). La strada più bella per cercare Dio, per incontrarlo, per gustarne la Bellezza è la strada dell’amore. Dio vi benedica!