[gen 01] Omelia – Maria Santissima Madre di Dio

Faenza, cattedrale 1 gennaio 2020
01-01-2020

All’inizio di questo nuovo anno festeggiamo, come oramai da tempo, la divina maternità di Maria. Nell’espressione «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (cf Gal 4,4-7) si trova condensata la verità fondamentale su Gesù come Persona divina che ha pienamente assunto la nostra natura umana. Egli è il Figlio di Dio, è generato dallo Spirito santo e al tempo stesso è figlio di una donna, Maria. Viene da lei. È da Dio e da Maria. Per questo, la Madre di Gesù si può e si deve chiamare Madre di Dio (Theotókos).Questo titolo fu definito dogmaticamente nel 431, dal Concilio di Efeso.

In occidente, tuttavia, non si trova per tanti secoli una specifica festa dedicata alla maternità divina di Maria. La introdusse nella Chiesa latina il Papa Pio XI nel 1931, in occasione del 15° centenario del Concilio di Efeso, e la collocò all’11 ottobre. Fu poi il santo Paolo VI, nel 1969, riprendendo un’antica tradizione, a fissare questa solennità al primo gennaio e a connetterla con la Giornata Mondiale della Pace. Festeggiare la Madre di Dio, che è Madre del Principe della pace, significa impegnarsi a costruire la pace con l’aiuto del Redentore.

In occasione del 1° gennaio, a partire da Paolo VI, ogni pontefice è ormai abituato ad indirizzare ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle varie espressioni della società civile, un Messaggio per la Celebrazione della Giornata mondiale della Pace. Il Messaggio di papa Francesco per la 53a Giornata porta questo titolo: La pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica. La pace, dunque, è un cammino di speranza. La parola speranza è bella, evoca il desiderio profondo di pace che c’è in ogni persona. Ma un conto è il desiderio. Un’altra cosa è impegnarsi fattivamente e costantemente per la realizzazione della pace. La speranza che c’è in noi è, sebbene ultima a morire perché radicata in noi, una cosa fragile, dati i nostri limiti. La speranza umana è troppo poco per costruire la pace. È insufficiente, perché la pace implica un impegno plurimo: un processo complesso, una concordia universale, l’impegno del dialogo tra culture diverse, la riconciliazione tra popoli che si contrastano, la promozione di un progresso umano, plenario, sostenibile, inclusivo, ossia per tutti. Occorrono, rimarca papa Francesco: il disarmo spirituale, il disarmo nucleare – non dimentichiamo quanto ha detto in Giappone il 24 novembre 2019, e cioè che sia l’uso che il possesso delle armi nucleari è immorale – , un ascolto basato sulla memoria degli eccidi, sulla solidarietà e sulla fraternità, il superamento delle diseguaglianze, della fame, delle povertà, uno Stato di diritto, una democrazia sostanziale, partecipativa, ma soprattutto un’etica globale di solidarietà e cooperazione e un’educazione dell’animo, l’acquisizione di virtù più che umane. In breve, sperare la pace significa sperare in un ordine sociale nuovo, sul piano nazionale e mondiale. Si tratta di un’impresa che è sfida all’uomo stesso e che richiede da parte di tutti di dare il meglio di sé. Chi consentirà di avere le forze e lo slancio per creare, in definitiva, un nuovo ordine sociale nei rapporti tra singoli, tra i gruppi di persone e tra i popoli della terra? La nascita di Cristo da Maria ci porta una speranza più che umana, divina. Dio che entra nel mondo ed è con noi, in noi, ci dona la forza di camminare con Lui verso la pienezza della vita, la pace con il creato. Cristo è sostegno della nostra speranza umana, ne è il fondamento granitico, perché realizza, dopo la prima, una creazione nuova. È vivendo uniti a Cristo, autore del prodigio di una creazione nuova, che diventiamo infaticabili costruttori di pace, senza perderci d’animo. Cristo, che rifà tutte le cose, è il motivo della nostra speranza. Anzi, è Lui la nostra speranza. La speranza cristiana non è qualcosa di astratto, di vago, di inafferrabile, di velleitario. La speranza cristiana, più forte di ogni speranza semplicemente umana, ha un nome. È una Persona. È Cristo stesso. Se viviamo Lui, che fa nuove tutte le cose, possiamo condividere, con efficacia, la sua meravigliosa opera rinnovatrice. Per papa Francesco, sperare la pace, o conseguirla con speranza, significa vivere Cristo, con Lui, in Lui, che compie il prodigio di una seconda creazione. Significa condividere la forza di Cristo che rinnova la faccia della terra. È impegnarsi concretamente nella realizzazione di uno sviluppo umano plenario, sostenibile, inclusivo, usufruendo del dinamismo trasfiguratore che il Redentore immette e diffonde, con l’incarnazione e il dono del suo Spirito, nell’umanità e nel cosmo. L’insegnamento di papa Francesco, in questa Giornata mondiale della pace, va apprezzato certamente per l’indicazione delle vie da percorrere sperando la pace, ma soprattutto perché ci fa capire che il cristiano senza Cristo è meno capace nel rispondere alle sfide della storia, specie alla sfida complessa ed ardua della pace. Per essere artigiani della pace occorre, dunque, non solo possedere le virtù umane. C’è bisogno anche delle virtù teologali, ossia di quegli atteggiamenti fermi e perseveranti mediante cui rafforziamo i nostri desideri innati di pace innestandoli nel desiderio più grande del Regno di Dio e della vita eterna.

Maria, Madre di Dio e della Speranza ci accompagni nel nostro cammino di costruttori della pace. L’Eucaristia ci renda più convintamente partecipi del prodigio della nuova creazione, offrendoci il pane e il vino consacrati, che sono il viatico di coloro che sperano la pace.

+ Mario Toso