[mar 15] Omelia – III domenica di Quaresima (anno A)

Faenza, cattedrale 15 marzo 2020
15-03-2020

Cari fratelli e sorelle, in un contesto quasi surreale celebriamo la terza domenica di quaresima solamente con alcuni sacerdoti del presbiterio e senza la presenza fisica dei fedeli, in ottemperanza alle severe disposizioni anti contagio del COVID-19. Non si tratta di un atto di svalutazione della fede, bensì di una limitazione che ci vuole più solidali con la comunità, con il bene di tutti, con ciò che lo stesso Spirito d’amore di Cristo ci chiede di vivere nei confronti del prossimo. La fede non è surclassata. Viene vissuta in una situazione diversa, in un altro modo rispetto a quello abituale. Il vangelo che ci ha parlato della donna samaritana (cf Gv 4, 5-42) ci consente di immetterci più profondamente nella dinamica spirituale della Quaresima, nell’oblazione di Cristo all’umanità e al Padre. Ci vuole aiutare ad entrare nella trasfigurazione che viene prodotta dalla morte e dalla risurrezione di Gesù Cristo. Vivendo la passione di Gesù non distruggiamo la nostra vita, bensì la accresciamo nella sua capacità di lottare contro il male, la separazione da Dio. Tra la samaritana e Gesù si instaura un dialogo su quale sia il luogo del culto in cui adorare il Signore: sul monte di Sicar o a Gerusalemme, gli chiede la donna? Gesù risponde: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre… viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Poi, Gesù continua il suo dialogo. Si serve della domanda della samaritana per fare una rivelazione stupefacente ed importante per le nostre piccole menti. Con la venuta del Messia il culto non si compie più precipuamente, come in passato, in un luogo o nell’altro, bensì nel Messia stesso, partecipando al suo Spirito. Il Messia instaura un culto nuovo, il culto dell’uomo nuovo. Il culto autentico si compie nel vero tempio che è Cristo, vero Dio e vero Uomo, che muore e risorge. Vivendo l’atto d’amore con cui Cristo si offre interamente al Padre, in anima e corpo, viviamo l’amore di obbedienza del Figlio al Padre. In questo consiste il nostro culto, l’offerta di noi stessi al Padre, in ogni Quaresima. È così che partecipiamo alla Pasqua di Cristo, all’essenza d’amore della sua morte e risurrezione. Vivendo il dono della nostra vita assieme alla passione d’amore di Cristo, trasfiguriamo, paradossalmente, tutta la nostra esistenza. Per sé ogni luogo e ogni spazio, ogni attività, vissuti in Cristo, vivendo Cristo, diventano luogo di culto, luogo sacro. Ovunque possiamo pregare, ovunque possiamo compiere il dono di noi stessi, il nostro sacrificio. Mentre ci doniamo con amore assieme a Lui, diventiamo luce, partecipiamo alla luce della sua Pasqua. L’uomo nuovo, ossia il Figlio incarnato, adora il Padre in anima e corpo, offrendosi come persona intera, sino a morire sulla croce. È anche per questo che, in questi giorni, in cui non possiamo partecipare fisicamente al memoriale della morte e risurrezione di Cristo, al culto nuovo del Figlio in anima e corpo, abbiamo «sete» di Lui. Sentiamo, in certo modo, l’«incompiutezza» della nostra offerta. Percepiamo l’urgenza che i nostri corpi reali siano uniti al suo Corpo reale: non solo perché siamo noi a mancare a Lui, ma perché è Lui che ci manca. È proprio il mistero di un Dio che si fa uomo, che ci rende inquieti e ci fa desiderare l’unione fisica, non solo spirituale, con Lui. Egli per incontrarci, per darci l’acqua che disseta, ossia Lui stesso, si è fatto carne, uno di noi. Incarnandosi ha assunto tutto di noi e ha colmato il nostro essere intero, spirito e corpo, del suo dono e della sua trasfigurazione. Come spiriti, che sono e vivono il loro corpo, e ricevono da Cristo una salvezza integrale, noi non possiamo non avere la nostalgia di essere completamente di Cristo, di unirci pienamente a Lui. Come non possiamo vivere senza la memoria del sacrificio di Cristo, senza la domenica, come dicevano i cristiani di Abitene, così non possiamo vivere senza il Corpo di Cristo che noi tutti formiamo in forza del battesimo, della confermazione e dell’Eucaristia. In questo periodo soffriamo per l’assenza della celebrazione dell’Eucaristia, come anche della vita comunitaria. Lo sappiamo, non viviamo come puri spiriti. Senza il corpo di Cristo e senza la comunione fisica e spirituale con il Risorto non possiamo vivere pienamente la nostra identità. È senz’altro questo l’aspetto positivo che emerge nella cogenza del divieto di partecipare alla celebrazione dell’Eucaristia. I credenti sentono il bisogno di quel corpo-comunità, ricco di comunione tra loro e con Dio, che è la Chiesa. L’epidemia, con tutti i divieti connessi, ci fa riscoprire che non possiamo abitare solo il virtuale – peraltro utilissimo in questa situazione difficile per contattare chi è lontano – e non siamo destinati a vivere eternamente isolati. Poiché siamo fatti per relazioni non solo digitali sentiamo l’urgenza dell’incontro con persone reali, con comunità reali, con la realtà del Corpo mistico. Sentiamo il bisogno di dimorare in essi. Siamo, peraltro, destinati a essere uniti tra noi e con il Figlio, condividendo costantemente la sua passione d’amore e la sua gloria, il suo sacrificio.

La samaritana lasciando la sua brocca al pozzo, ossia le proprie preoccupazioni quotidiane, a motivo dello sconvolgente incontro con Cristo, quasi istintivamente, assume come preoccupazione primaria la sollecitudine di annunciarne la novità e la bellezza alla sua gente.  In questo periodo, in cui i contatti personali sono ridotti al minimo, profittiamo per pregare, per meditare sulla nostra intrinseca fragilità, per pensare alle cose più importanti della vita, per accrescere la nostra fede. I nostri giovani sinodali rivivano la gioia della comunione e della missione sperimentata nei mesi passati. Profittino per leggere personalmente il Documento post-sinodale che è stato consegnato a loro, oltre che alla Diocesi. Pensino le vie più efficaci per realizzarlo. Preghiamo, infine, per gli ammalati di coronavirus, per i medici, gli infermieri e i volontari, per i famigliari. Riaffidiamo la nostra Diocesi alla Beata Vergine delle Grazie e ricorriamo a Lei perché ci protegga e ci conforti. E così sia!

+ Mario Toso