[mag 29] Omelia – Veglia di Pentecoste

Cattedrale di Faenza 29 maggio 2020
29-05-2020

Un laicato generoso e creativo nella Chiesa e nel mondo

Per meditare in questa veglia di Pentecoste muoviamo dal Vangelo di Matteo che abbiamo appena udito (cf Mt 20, 1-16). In esso, il Regno di Dio viene raffigurato da un padrone di casa che esce per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Sappiamo che Gesù parlando del Regno lo rappresenta con più immagini. Il Regno dei cieli è simile a un po’ di lievito che una donna mette nella farina perché la fermenti tutta; è simile ad un granello di senape che piantato diventa un albero grande e frondoso ove trovano ospitalità gli uccelli dell’aria; è un grande tesoro sepolto in un campo, comprato vendendo tutto ciò che si possiede. Sono tutte raffigurazioni suggestive che illuminano questo o quell’aspetto del Regno. Penso che dopo aver udito il brano dell’evangelista Matteo possiamo dire che il Regno è dato da più lavoratori invitati da uno stesso Padrone – Dio – a lavorare nella stessa vigna. Il Regno non è rappresentato solo da una vigna intesa come realtà considerata per se stessa ove ci lavorano più persone, ma senza il «padrone».

Chiediamoci, andando al di là delle immagini, e riferendoci a noi battezzati, cresimati, eucaristizzati, chiamati ed inviati, come, in che maniera siamo invitati ed inviati a lavorare nel Regno di Dio? I brani che sono stati selezionati opportunamente dall’esortazione apostolica Christifideles laici (=CL) di san Giovanni Paolo II, in ultima analisi, ci dicono che siamo invitati a lavorare nella vigna, nel Regno, in quanto e come sacerdoti, profeti e re o, meglio, come figli di Dio che partecipano al triplice ufficio – sacerdotale, profetico e regale – di Gesù Cristo. Tutta la Chiesa, Corpo di Cristo, tutte le componenti del popolo di Dio sono partecipi della triplice missione del Redentore e lavorano a servizio della crescita del Regno di Dio.

Ma poiché questa è una veglia organizzata dalla Consulta Diocesana per le Aggregazioni laicali è naturale che ci si fermi a riflettere sui compiti del laicato, come emergono dalla CL e dall’azione vivificatrice dello Spirito della missione della Chiesa, in tempo di epidemia da COVID-19. In questo tempo particolare, quale tipo di laicato ci suggerisce lo Spirito, per crescere nella comunione e nella sinodalità ecclesiali, al fine di rinnovare le nostre comunità e associazioni, di essere maggiormente lievito del mondo?

Un laicato con un cuore pulsante d’amore per i malati e per i poveri

In questo tempo di pandemia, lo Spirito ha attivato e manifestato in molti – famiglie, associazioni, giovani, anziani, professionisti, amministratori pubblici e politici, insegnanti – un cuore pulsante d’amore, capace di alimentare dedizione, cura, servizio più intenso. Anche il cuore della Chiesa è stato scosso e destato ad un dono straordinario, sia sul versante della carità assistenziale sia sul piano della preghiera, della sollecitudine pastorale, della carità evangelizzatrice e formativa. Nel periodo della pandemia, in particolare la Caritas, all’aumento delle fragilità cui ha corrisposto un aumento della povertà, ha risposto riorganizzandosi nell’accoglienza, nell’accompagnamento, secondo protocolli precisi, anche in nuovi ambienti, di modo che i nuovi poveri fossero aiutati con maggior riserbo, ma non con minore efficacia. Peraltro, se la Chiesa diocesana ha messo in stand by il piano pastorale, ha accresciuto il suo amore anche pregando, meditando sulla Parola di Dio, riflettendo sull’urgenza di essere più vicina alle persone, alle famiglie, anche solo con una telefonata, con l’offerta di sussidi, con l’accompagnamento. Ha cioè compreso che non si trattava solo di intervenire sul piano materiale. Lo Spirito ha fatto comprendere che la Chiesa è chiamata a vivere più profondamente e ad annunciare la Sapientia crucis a chi è scandalizzato per il dolore e la morte. Oggi, il mondo si aspetta dalla Chiesa ben di più che il pronto soccorso dell’aiuto materiale. Si aspetta delle ragioni che aiutino ad accettare e a vivere con maturità quello che sta succedendo. Ha urgente necessità di motivi seri per sperare. La nostra gente ha bisogno di una fede più fondata in Gesù Cristo, che ha preferito morire per noi che vivere senza di noi e che è fondamento del nostro dovere e diritto di sperare. Oggi più che mai dobbiamo saper proporre la Sapientia crucis a chi è scandalizzato dal dolore e dalla morte. A chi, frastornato da quello che accade, cerca «la» buona ragione per vivere e per morire, si deve ripetere instancabilmente che la può trovare nella morte e risurrezione di Cristo.

Un laicato più protagonista nella chiesa domestica

Il soffio dello Spirito ha trasformato la necessità di rimanere in famiglia in una meravigliosa opportunità di riscoperta della cellula base della comunità cristiana e della società civile. Non si ignorano le varie problematiche derivanti talora da spazi ristretti, dalla perdita del lavoro, dal logoramento della tenuta psicologica. E, tuttavia, sono emersi aspetti positivi non piccoli. Con l’ausilio dell’Ufficio-Settore famiglia, le nostre famiglie non solo hanno vissuto momenti forti sul piano affettivo – momenti vivaci e movimentati -, allietati dalla presenza dei figli, rimasti a casa da scuola, impediti di vivere nelle attività sportive. Con il supporto di sussidi predisposti ad hoc, con la partecipazione alla santa Messa attraverso la Tv, i social, seguendo la preghiera del Rosario e la novena della Patrona, è cresciuta la preghiera insieme, la preghiera di intercessione per la Chiesa e per il mondo, si è apprezzata di più la vita comunitaria. Da questa esperienza va appresa l’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione per essere soggetti in rete con altri Settori della pastorale, per meglio collegare le nostre persone anziane con la propria comunità ecclesiale.

Un laicato più corresponsabile nelle comunità ecclesiali

Talvolta si sente dire o si legge che la Chiesa, prendendo spunto dall’emergenza della pandemia, deve sbaragliare il clericalismo, che emargina il laicato. Sarà proprio vero che il laicato è estromesso? Forse qua e colà. Sta di fatto che la pandemia non ha spazzato via il processo della ristrutturazione delle nostre parrocchie. Tutt’altro. L’emergenza in cui viviamo ne ha evidenziato più chiaramente l’esistenza e la progressività, assieme alle connesse esigenze pastorali. Ecco un vasto campo di protagonismo laicale. Come sottolineato nella Lettera pastorale di quest’anno Voi siete la luce del mondo (cf Mt 5, 14), c’è bisogno che – specie in quelle comunità parrocchiali ove non vive più un parroco in maniera stabile – siano costituiti gruppi ministeriali, composti soprattutto da laici. Scelti dalla comunità e adeguatamente preparati, sono chiamati a svolgere vari servizi di apostolato, di animazione della preghiera e di formazione, di catechesi, di amministrazione dei beni materiali, di attività caritative, di assistenza agli anziani e agli ammalati, ed altro ancora. I futuri gruppi ministeriali, che non sono obbligatori, anche se caldamente suggeriti specie là ove si danno situazioni particolari, più che la collaborazione vivranno la corresponsabilità, ovvero l’assunzione generosa e disinteressata di mandati conferiti dal vescovo o dai parroci, per partecipare all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia o di una unità/zona pastorale, in sinergia con i presbiteri, il consiglio pastorale, facendo riferimento ad essi.

Un laicato meno catacombale e meno mimetizzato

Il laicato, che vive nella corresponsabilità pastorale all’interno delle comunità parrocchiali, non deve clericalizzarsi, ossia sostituirsi ai parroci, ai presbiteri, ai diaconi. È chiamato a costruire la Chiesa, curando la chiesa domestica, vivendo i ministeri laicali a vari livelli e, quindi, secondo la propria missione e i propri carismi. Ciò non deve assolutamente far dimenticare che il laicato, partecipe dell’ufficio regale di Cristo, come ci ricorda la CL, riallacciandosi a quanto ha scritto san Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi, ha come campo proprio della sua azione evangelizzatrice «il mondo vasto e complicato della politica, della realtà sociale, dell’economia; così pure della cultura, delle scienze e delle arti, della vita internazionale, degli strumenti della comunicazione sociale; ed anche di altre realtà particolarmente aperte all’evangelizzazione, quali l’amore, la famiglia, l’educazione dei bambini e degli adolescenti, il lavoro professionale, la sofferenza. Più ci saranno laici penetrati di spirito evangelico, responsabili di queste realtà ed esplicitamente impegnati in esse, competenti nel promuoverle e consapevoli di dover sviluppare tutta la loro capacità cristiana spesso tenuta nascosta e soffocata, tanto più queste realtà, senza nulla perdere né sacrificare del loro coefficiente umano, ma manifestando una dimensione trascendente spesso sconosciuta, si troveranno al servizio dell’edificazione del Regno di Dio, e quindi della salvezza in Gesù Cristo».

Orbene, nella fase due dell’epidemia, che richiede, per certi versi, un nuovo inizio, il laicato è chiamato dallo Spirito ad essere fermento vivo per la vita in pienezza degli altri. Nel nuovo inizio, in cui si è coinvolti come laici credenti, lo Spirito santo sollecita ad irradiare la novità di pensiero e di vita che derivano dalla partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù Cristo, dalla nostra fede, dalla nostra identità di sacerdoti profeti e re.(*) E ciò per la rinascita spirituale ed etica delle famiglie, delle aggregazioni, delle parrocchie, delle nostre Diocesi, chiamate di fatto ad una nuova seminagione del Vangelo. I credenti, quale lievito buono, sono chiamati oggi, più che mai, a scendere in campo per la rinascita dell’Italia, per dare il loro contributo specifico, per l’umanizzazione, ossia per un’innovazione tecnologica che non dimentichi il primato dell’uomo del lavoro, per nuovi investimenti nella sanità, nella ricerca, nella cultura, nell’educazione, nell’economia ecologica. Prima della ripartenza economica, pur fondamentale, c’è bisogno di una rinascita morale e spirituale, pedagogica, ecologica. C’è l’urgenza di ritrovare un’anima di nuova solidarietà per la politica, per la democrazia, per il mondo intero, a partire dall’attenzione ai più poveri. In breve, in quest’ora straordinaria, è imprescindibile essere lievito nuovo, non vecchio. Occorre essere, cioè, credenti che bypassano le esiziali separazioni, retaggio di una cultura post-moderna, tra fede e vita, tra fede e verità, tra fede e scienza, tra fede e morale.

Il laicato che non si fa autogol

Cari fratelli, il Corpo di Cristo, sia quello eucaristico, sia quello che incontriamo nelle persone, come Lui ci ha insegnato, non è profanato se si prendono delle precauzioni per evitare il contagio. Le specie eucaristiche consacrate non diventano ipso facto, perché sono transustanziate in Cristo, immuni dal virus.

La famiglia non viene frantumata se ai componenti viene richiesto, eccetto ai più piccoli, un metro di distanza nelle assemblee liturgiche. Voi tutti mi insegnate che la famiglia si spacca per ragioni ben più gravi. A questo proposito vedo bene rilanciare una proposta arcinota, che tutti i papi, vescovi, presbiteri fanno ai laici: siate presenti alle celebrazioni eucaristiche con tutti i vostri figli, se possibile, specie con i più grandicelli, che spesso assumono atteggiamenti da liberi pensatori. Bisognerà ragionare con loro, educarli, ovviamente. Questo sì che rafforza e compatta le famiglie!

Conclusione

Concludo così, ripetendo dalla preghiera Vieni Santo spirito: Vieni, Santo Spirito. Vieni padre dei poveri. Vieni datore dei doni. Vieni consolatore perfetto. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, raddrizza ciò che è sviato. Dona i tuoi sette doni. Dona morte santa, dona gioia eterna. Amen

+ Mario Toso

(*) La partecipazione all’ufficio profetico di Cristo, il quale e con la testimonianza della vita e con la virtù della parola ha proclamato il Regno del Padre, abilita e impegna i fedeli laici ad accogliere nella fede il Vangelo e ad annunciarlo con la parola e con le opere non esitando a denunciare coraggiosamente il male (cf CL n. 14).