[mag 17] Intervento – Essere Lievito

Nel secondo anniversario di fondazione dell’Associazione Il lievito
17-05-2020

Premessa

Affrontando il tema del lievito preme precisare che nel farlo occorre superare un approccio di tipo individualistico, in linea con un modo abbastanza comune di vivere il proprio cristianesimo. Ossia un cristianesimo fai-da-te, un cristianesimo ritagliato su misura per se stessi, costruito e adattato secondo le proprie prospettive ed esigenze personali, tralasciando gli aspetti più esigenti del Vangelo. Questo modo di fare si può definire l’anticamera dell’apostasia: una modalità di vivere la propria fede, che sta silenziosamente diffondendosi nelle nostre comunità cristiane. Spesso ne consegue la diminuzione del senso di appartenenza alla Chiesa, al popolo di Dio. Cresce, nel contempo, il senso dell’indifferenza nei confronti della Chiesa istituzionale ed ufficiale.

Per avere un approccio più corretto al tema del lievito, per parlarne in maniera più appropriata è, invece, fondamentale vederne la relazione con Colui che è il lievito per eccellenza, ovvero Gesù Cristo. Ma non solo. È necessario vederne il collegamento con la Chiesa, posta in essere dal Verbo incarnato perché sia a servizio del Regno di Dio. Ci aiuta in questo il Vangelo o, meglio, i testi sinottici che ne parlano.

  1. Fonti bibliche

Per parlare del lievito, che è il tema su cui ci fermeremo a riflettere, ci rifacciamo, dunque, ai Vangeli. In particolare al Vangelo di Matteo e di Luca. Leggiamo:

Dal Vangelo secondo Matteo: «Un’altra parabola disse loro: “Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti”» (13,33).

Dal Vangelo secondo Luca: «E ancora: “A che cosa rassomiglierò il regno di Dio? È simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre staia di farina, finché sia tutta fermentata”» (13,20-21).

Come si può notare, nei due brevi brani sopracitati, il Signore Gesù parla di lievito per rappresentare il Regno di Dio. E questo è già sufficiente per metterci in una prospettiva e in un approccio diversi dal solito: quella o quello secondo cui si riferisce immediatamente l’immagine del lievito alla singola persona credente, separandola dal suo contesto relazionale. In realtà, se ci fermassimo a questa interpretazione rimarremmo intrappolati in una lettura semplificatrice e ristretta della Parola di Dio. E, dunque, per parlare del lievito in una maniera più appropriata, ossia più conforme al Vangelo, dobbiamo scegliere un angolo di visuale diverso, più ampio, non semplicemente individuale, bensì comunitario.

Il Regno dei cieli o il Regno di Dio, dunque, è il punto di partenza da cui muovere per capire il senso reale e più esaustivo dell’immagine evangelica del lievito. Prima di essere attribuita all’individuo questa immagine va impiegata per rappresentare il Regno di Dio, che indica una realtà più complessa rispetto alla vita del singolo credente o all’esistenza di un solo gruppo di credenti.

Il Regno dei cieli o il Regno di Dio, che è annunciato come «Regno» vicino, presente nel mondo, come vita di Dio comunicata all’umanità, è realtà che inizia, trasforma la storia, le relazioni sociali, porta giustizia e pace e, inoltre, si espande in tutti i popoli. Sfocia alla fine dei tempi nella pienezza di vita della Comunità trinitaria.

Pertanto, il Regno di Dio è vita divina che, al pari del lievito che pervade e fermenta la pasta del pane, è unita e «mescolata» con l’umanità, opera in essa e con essa nascostamente, in maniera non appariscente, nonostante il suo risultato evidente. È vita che arricchisce divinizzando. Rigenera le persone, le permea completamente, rendendole più umane, le eleva alla vita divina, le trasforma qualitativamente, sul piano della intensità d’essere, più che sul piano della quantità.

I cristiani, come il lievito che, secondo i Padri della Chiesa, è Cristo stesso, sono chiamati a diffondersi in tutto il mondo, come messaggeri e testimoni del Regno. Appartengono a questo mondo, vivono nel mondo, per il progresso del Regno di Dio (cf Gv 17, 14-16). Sono costituiti quale popolo missionario. Sono mandati da Cristo a lievitare e a trasfigurare le realtà terrene, vivendo uniti a Lui, Uomo Nuovo, che è venuto per essere fermento di una nuova umanità e di una nuova storia.

  1. Due puntualizzazioni necessarie, per rendere più completo il quadro dell’azione sia di Cristo sia dei suoi discepoli.
  • Prima puntualizzazione

Il lievito, che è Cristo, Verbo incarnato, non opera singolarmente a favore della crescita del Regno. Come facciamo a capirlo e a dirlo? Agisce, infatti, in quanto seconda Persona della Trinità, Persona interrelata con il Padre e con lo Spirito Santo, in comunione con loro. Non solo. Dopo la sua incarnazione, mediante cui ha assunto l’umanità, agisce sì come figlio di Dio, ma anche come Figlio dell’uomo, Nuovo Adamo. E, quindi, agisce unito agli uomini che lo accolgono, formando la Chiesa, Corpo di Cristo di cui Egli è il Capo. Cristo, dunque, inizia nel mondo il Regno di Dio, costituendo un nuovo popolo, il popolo di Dio, popolo in cammino, verso la Gerusalemme celeste. Questo popolo è guidato dallo Spirito del Cristo, opera nel mondo, animandolo con un’esistenza propria dei figli di Dio, dei figli nel Figlio, ossia in piena comunione con il Padre, sino alla morte. Tramite la loro comunione con il Padre e tra di loro, partecipano alla nuova creazione iniziata da Cristo, redentore e ricapitolatore di tutte le cose. Cristo, al centro del mondo, ne anima l’esistenza, facendo nuove tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. Il creato, come descrive san Paolo, è sottoposto alle doglie di un parto e geme nel generare un nuovo cosmo, orientato a dare gloria a Dio.

  • Seconda puntualizzazione

Per quanto detto, i cristiani sono sicuramente lievito come singoli, ossia come persone assunte e redente mediante il Battesimo e resi partecipi del lievito che è Cristo. Ma lo sono, prima di tutto e più efficacemente, come Corpo di Cristo, ossia come persone in comunione con Cristo e tra di loro, come comunione-comunità. I discepoli sono lievito del Regno, attraverso l’inizio di un piccolo gruppo, inviato da Cristo, e come lui odiato e disprezzato (cf Gv 15,18; At 4,13). Dio mette sottosopra il mondo con un manipolo di credenti (cf At 17,6). Nonostante l’opposizione di Satana, di imperatori idolatri, che scatenano persecuzioni contro di loro proprio in quanto discepoli di Cristo, influenzano il mondo intero. Erano una piccola quantità di lievito, ma col tempo hanno cambiato la grande quantità di farina: l’ethos dei popoli incontrati, i loro costumi, le loro istituzioni, la loro cultura. Con la loro visione della persona e della società, con il loro umanesimo trascendente, hanno plasmato gli ordinamenti giuridici in senso personalista e gli Stati in senso laico (non laicista). Dal cristianesimo sono germogliati più rinascimenti. Ma sappiamo anche che il lievito cristiano, purtroppo, più di una volta è deteriorato ed invecchiato, perdendo il suo vigore di umanizzazione e di civilizzazione.  Non certo a causa di Cristo, ma dei suoi discepoli, infedeli alla propria vocazione, proni allo spirito del mondo. E così, la stessa Chiesa, il Corpo di Cristo, ma nella loro componente più umana, hanno perso la loro capacità critica, innovativa, la loro influenza positiva. E ciò perché Cristo di fatto è stato strumentalizzato a progetti di potere temporale, la Chiesa è stata infeudata a regni terreni, a prospettive meramente umane. Il lievito, che è Cristo, è stato sostituito con un lievito negativo, un lievito vecchio, che ha un prodromo in quello dei farisei e dei Sadducei, rispetto al quale Gesù mise in guardia i suoi discepoli (cf Mt 16,11; 1 Cor 5, 6-8).

Il Regno, in breve, può venire oscurato, contrastato dagli stessi credenti. Non ne riconoscono più la sua dimensione trascendente ed escatologica, ossia la dimensione di Regno che è sì presente nella storia, ma la supera e si compie al di là del tempo e dello spazio.

Ma nonostante tutto ciò, l’azione lievitante di Cristo redentore e ricapitolatore non viene, ultimamente, svigorita e sopraffatta, perché è Lui l’Autore della redenzione, l’origine di ogni fermento. Da Lui dipende il potere del lievito di diffondersi in tutta la pasta. Da Lui dipende la vittoria finale del Regno di Dio.

  1. Lievito e cristiani: le ragioni dell’umiltà

Per quanto già detto è facile comprendere che è solo Cristo che dà potenza di fermento al lievito dei credenti. Senza Cristo il lievito dei battezzati perde il suo vigore trasformante. La forza fermentante del lievito viene dall’esterno, nel senso che viene ultimamente da Cristo. Bisogna allora comprendere questo: se il mondo è raggiunto immediatamente dalla fermentazione operata dai credenti, non va dimenticato che la loro efficacia dipende primariamente dal fermento che è Cristo. Detto altrimenti, i credenti, nel loro impegno di animazione cristiana, debbono coltivare, secondo verità, un atteggiamento di umiltà. Debbono riconoscere che la diffusione del Regno in questo mondo è opera prima e ultima da parte di Dio. Al discepolo spetta il compito di rimanere unito a Cristo, come il tralcio alla vite, e di partecipare alla sua nuova creazione. Se il tralcio non è unito alla vite non porta frutto. L’efficacia trasfigurante dei credenti dipende, in ultima istanza, dalla forza dell’amore di Cristo e del suo Spirito, accolta, celebrata, vissuta, testimoniata. Lievito buono, non lievito vecchio, è il credente che, vivendo Cristo, assume ed interpreta la sua vita come una pro-esistenza generativa, come un impegno di diaconia, di servizio in umiltà, come è quello di Cristo, che venendo in questo mondo assume la condizione del servo.

  1. Lievito e fede

In definitiva, si può affermare che possiamo essere lievito e fermentare la pasta, rendendo nuove le persone, le relazioni e le cose, se abbiamo fede. Potrà sembrare una affermazione scontata e banale. Ma non lo è affatto. È proprio la fede che dà vita nuova al credente e lo rende lievito buono, sempre giovane. Anche nell’opera di trasfigurazione del mondo e della storia è la fede che fa la differenza. Grazie alla fede si incontra Cristo, ci si dona a Lui, si vive e si dimora in Lui. È con ciò che il credente entra in possesso di un pensiero e di un cuore nuovi, di una nuova visione dell’uomo come essere strutturato a tu, che si compie mediante il dono di se stesso agli altri e a Dio, vivendo non sulla tomba della comunità, ma nella comunità, servendo il bene di tutti. Solo grazie ad una fede viva, irrobustita da un amore pieno di verità, da un pensiero pensante – la fede se non è pensata è nulla, affermava sant’Agostino – e, quindi, fondata sulla fiducia in Dio, i credenti possono essere il lievito del mondo, di una nuova civiltà, e portare in essa la speranza di un mondo futuro. Chi crede nella nuova umanità guadagnata per noi da Cristo, un’umanità in comunione con Dio Padre, più capace di vero e di bene, sa che ha un dovere e un diritto di sperare.

  1. Lievito e spiritualità

Si è appena affermato che si è lievito se si ha la fede, se si vive Cristo stesso, la sua spiritualità, se si posseggono i suoi stessi sentimenti, se si assumono i suoi atteggiamenti e si punta a raggiungere la sua statura morale, immedesimandosi a Lui. Non bisogna dimenticare due cose: primo, che la spiritualità di Cristo è quella del Crocifisso, ossia una spiritualità che è quella di Colui che riconcilia l’uomo con Dio donandosi totalmente a Lui, sino alla morte di croce (Sapientia crucis); secondo, che è la spiritualità del Verbo che si incarna (!), per assumere, vivere e così rendere nuova l’umanità e le sue relazioni interpersonali, le relazioni con il creato. Il credente, dunque, è chiamato ad essere lievito non mediante una fede spiritualista, intimistica, bensì mediante una fede che si incarna nelle varie realtà per viverle con l’amore di Cristo e così redimerle e trasfigurarle con Lui, in Lui. Detto altrimenti, il credente sa che la sua partecipazione all’opera di Cristo è condivisione di un impegno di redenzione integrale, che concerne ogni uomo, nel volume totale delle sue dimensioni costitutive, ogni realtà sociale, il creato. Proprio per questo, il credente riconosce la dimensione sociale della sua fede, che trova il suo vademecum di coniugazione nella Dottrina sociale della Chiesa, caposaldo dell’azione degli iscritti all’Associazione Il Lievito.

  1. Lievito, Messe, presenza con una nuova visione

In questa seconda fase della pandemia di COVID-19, che sollecita una nuova epoca, si parla molto del nuovo inizio che ci attende. Per noi credenti, con il 18 maggio, si concretizza la possibilità di ritornare a partecipare alla celebrazione delle sante Messe e degli altri sacramenti, sia pure nell’osservanza di protocolli di sicurezza concordati con il governo. Così, secondo protocolli di sicurezza ben definiti, saranno riprese attività artigianali, imprenditoriali, commerciali, di trasporto, di turismo, di manifestazioni artistiche. E, comunque, in linea con il nostro tema, fermiamo l’attenzione sul ripristino delle celebrazioni eucaristiche ove, in particolare, ma non solo, il lievito dei credenti è costantemente rinnovato e rinvigorito. Ciò è fondamentale per i credenti, chiamati a lavorare per il progresso del Regno di Dio nel mondo. Ma non va dimenticato che la presenza all’Eucaristia deve avere continuità nella liturgia della vita. Quindi non basta la Messa in se stessa. Ci dev’essere un’«eucaristizzazione» degli impegni abituali. Si tratta di dare il via, dopo la prima fase, non ad un semplice ripristino delle attività abituali, ripetendo prassi vecchie, generatrici di ingiustizie, di lavoro schiavo, sfruttato, nero, rapace. Sotto questo profilo, non appare senz’altro segno di un «lievito nuovo» la notizia dell’intesa tra la casa farmaceutica francese Sanofi e il governo degli Stati Uniti che consegnerebbe in prima istanza a quest’ultimo un eventuale vaccino anti-sars Cov-2. Occorre, invece, dare il via ad un nuovo inizio, ossia ad una nuova economia, non consumistica; ad una nuova finanza, posta finalmente al servizio dell’economia reale; ad una nuova politica al servizio del bene comune; ad un’ecologia integrale. In vista di ciò c’è proprio bisogno di un lievito rigenerato dall’Eucaristia, ove viene celebrata la vita di Cristo che si dona per amore al Padre. C’è bisogno di quell’antropologia e di quell’umanesimo che sono «istituiti» dal sacrificio di Gesù e che sono fondamentali per forgiare un nuovo pensiero, nuove visioni delle relazioni sociali, delle città, dell’Europa, del mondo intero. Detto altrimenti, per essere vero lievito divinizzante e, quindi, umanizzante le attività umane, le società, la famiglia, le organizzazioni di vario genere, non ci si può limitare a partecipare alle Messe senza portare nella vita quotidiana la vita nuova ricevuta da Cristo redentore, sommo sacerdote, Nuovo Adamo. E, quindi, occorre vivere nella quotidianità, nelle varie attività, con lo spirito di dono e di servizio di Colui che è il protagonista per eccellenza di una nuova creazione, Colui che per primo moltiplica i pani per la fame spirituale e biologica della gente. Ciò avviene irradiando concretamente nel nuovo inizio, in cui siamo coinvolti anche come credenti, la novità di pensiero e di vita che ci derivano dalla partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù Cristo: per la rinascita spirituale ed etica delle famiglie, delle aggregazioni, delle parrocchie, delle nostre Diocesi, chiamate di fatto ad una nuova seminagione del Vangelo. I credenti, quale lievito buono, sono chiamati oggi, più che mai, a scendere in campo per la rinascita dell’Italia, per un’innovazione tecnologica che non dimentichi il primato dell’uomo del lavoro, per nuovi investimenti nella sanità, nella ricerca, nella cultura. Prima della ripartenza economica, pur fondamentale, c’è bisogno di una rinascita morale e spirituale, pedagogica, ecologica. C’è l’urgenza di ritrovare un’anima di nuova solidarietà per la politica, per la democrazia, per il mondo intero, a partire dall’attenzione ai più poveri. In breve, in quest’ora straordinaria, è imprescindibile essere lievito nuovo, non vecchio. Occorre essere, cioè, credenti che bypassano le esiziali separazioni, retaggio di una cultura post-moderna, tra fede e vita, tra fede e verità, tra fede e scienza, tra fede e morale.

  1. Lievito e politica

Oggigiorno, rispetto all’impegno dei cattolici in politica, sembra che si viva in una condizione particolarmente consona all’essere lievito. Si vive oramai sulla base del convincimento generalizzato che la diaspora consenta il miglior modo di essere lievito. Ma è proprio vero che l’essere in diaspora consente di umanizzare più efficacemente la politica, di realizzare più facilmente una democrazia rappresentativa, partecipativa, deliberativa, inclusiva? L’essere presenti in una maniera frammentata, davvero consente di superare visioni tipiche dello statalismo, assistenzialistiche, laiciste e libertarie, sovraniste e populiste, quali stanno dominando in questo tempo?

È evidente che là ove vale il principio di maggioranza, come nella democrazia, è molto difficile che un piccolo gruppo di parlamentari o singoli deputati possa influenzare le decisioni della massa maggioritaria. La metafora del lievito vorrebbe che i cattolici si facessero veicolatori dei valori e dei principi di cui sono portatori nei programmi delle diverse piattaforme partitiche. Ma il risultato non può che essere il seguente: poiché nei partiti democratici vige il principio di maggioranza, chi è minoranza non potrà vedere accolte le proprie istanze, a meno di gesti compassionevoli o buonisti da parte della maggioranza. Nei gruppi parlamentari la fermentazione non avviene come nella pasta, in una maniera di «contagio» naturale, quale è realizzato dal lievito. Tra persone, dotate di intelligenza e libertà, non valgono i processi di una fermentazione spontanea, con un effetto quasi automatico, dal punto di vista biologico. Occorre cercare, allora, altre vie, ossia strade che non portino a disperdersi politicamente o, peggio, a scomparire politicamente.[1] In politica il lievito non deve mancare come anche non può essere vecchio. È quanto mai necessario un lievito nuovo, che può essere disponibile grazie ad una vita autentica di fede, che è mossa dalla carità.

  1. Lievito e stato di minoranza

Oggi è vivo l’interrogativo: Chiesa di massa o Chiesa minoritaria? Un tale interrogativo sorge particolarmente nella nostra Europa in cui si sta passando da una situazione in cui la fede era di massa, della maggioranza, a una situazione in cui, invece, la fede professata e vissuta autenticamente è sempre più di pochi, nonostante il numero ancora rilevante di battezzati. Seppure molti sono ancora convinti che esista un cristianesimo maggioritario, in realtà i credenti praticanti sono una minoranza. Bisogna comunque prendere atto, come ci invita a fare Franco Garelli nella sua ultima opera Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio (Il Mulino, Bologna 2020) che per molti la modernità avanzata se non ha sradicato del tutto i riferimenti religiosi, li ha resi più fragili ed incerti. Una fragilità che è messa a confronto sia con la presenza di nuove fedi e culture sia con il diffondersi nel nostro paese di posizioni ateo-agnostiche. Gli stessi dati statistici mostrano tendenze inconfutabili.

Al lato pratico, che cosa può significare tutto questo per i credenti? Ratzinger, nel suo volume Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio, (san Paolo, Milano 2001, p. 404), già una ventina d’anni fa, afferma che la Chiesa di massa può essere qualcosa di bello, ma che questa non è necessariamente l’unica modalità di essere della Chiesa. Cosa vuol dire? Questo: in un tempo in cui le sue file si assottigliano, la Chiesa è chiaramente chiamata a rifondare la sua presenza, il suo modo di evangelizzare, a trovare le strade per portare il Vangelo anche ai non credenti. In proposito, esistono già più modelli. Il neocatecumenato possiede un proprio modello. Altre comunità hanno intrapreso altri tentativi. La Chiesa, scrive Ratzinger, deve ricorrere a tutta la sua creatività per far sì che non si spenga la forza viva del Vangelo. E questo per plasmare le masse, pervaderle del suo messaggio e agire in loro come il lievito (cf p. 406).

In definitiva, ieri come oggi, in un periodo che alcuni definiscono anche di post-cristianità, vale sempre l’invito di Gesù Cristo rivolto alla piccola comunità degli apostoli: siate sale e lievito della terra!  Lievito buono, sale non insipido, evidentemente. La definizione di lievito presuppone una dimensione molto piccola, ma anche l’universalità della responsabilità da parte di tutti i credenti. E questo in una situazione permanente per la Chiesa: quella di essere immersa in un processo di costante autocostruzione di sé.

La Chiesa è chiamata a ripensare il cristianesimo e a dargli forma nelle varie epoche. Ai tempi di Francesco d’Assisi e di san Tommaso d’Aquino, la Chiesa dovette ripensare il cristianesimo in un’epoca segnata dall’incontro/scontro con l’Islam e, prima, con la cultura latina e greca. Ai tempi del Rinascimento e dell’epoca moderna si sono affrontate esigenze analoghe: quelle di capire ed inverare l’essenza del cristianesimo in nuovi contesti socio-culturali. Oggi si è chiamati ad incarnare il cristianesimo in un contesto di materialismo consumista, di tecnocrazia, di secolarismo estremizzato, di forti migrazioni, di crisi ecologica che pregiudica il destino della stessa umanità, di cambiamenti climatici, di pandemie occasionate da virus letali come la malattia del COVID-19.[2]

La Chiesa nella sua identità universale dev’essere preservata senza discussioni, ma nello stesso tempo dev’essere realtà aperta, pronta ad accogliere tutto ciò che di nuovo e di vero le può derivare dall’esterno, attraverso specialmente il dialogo religioso e culturale come ci sta insegnando papa Francesco.

E, comunque, oggi è certo che non può essere ignorato che in Occidente il cristianesimo sia sottoposto ad un assottigliamento numerico, come si diceva poco sopra. Per cui non sarà più dominante la tipologia umana occidentale, la sua cultura, con il suo modo di rapportarsi con il mondo. Che fare?

Come suggeriva Romano Guardini, i cattolici sono chiamati ad un processo di «essenzializzazione». Non possono imporre nulla a nessuno, specie ciò che è frutto della loro interpretazione personale del Vangelo. Il cristianesimo va riproposto riconoscendo ciò che in esso è, per l’appunto, essenziale. Più che votarsi ad una religiosità sentimentale e dolciastra, occorre trovare una nuova tensione spirituale, una nuova passione per la fede, aliena da strumentalizzazioni o secondi fini politici, ma interamente motivata.  Ossia una fede, accolta, creduta, vissuta, testimoniata, ove la dimensione intellettuale e spirituale non è assolutamente marginale.

I credenti sono chiamati a vivere il cristianesimo non in maniera sciatta, stanca, sbiadita, per semplice tradizione e nemmeno entro schemi astratti o meramente accademici, senza un sentimento sincero. Il cristianesimo non va ingabbiato entro schemi rigidi, integralisti. La ricchezza della fede inclina a vivere un’apertura dinamica, nell’accoglienza dei molteplici doni e carismi con cui lo Spirito santo arricchisce la sua Chiesa. Le espressioni della fede sono sempre molteplici e, quindi, diverse. Qui dovrà inserirsi l’opera di discernimento dell’intera Chiesa nella valorizzazione di una santità che deve caratterizzare tutti coloro che fanno parte del Corpo di Cristo. Non bisogna aver paura dell’eterna giovinezza della Chiesa.

  1. Il compito del lievito: diventare massa?

Alle volte abbiamo la pretesa o la velleità di diventare massa. Non è propriamente questo il compito del lievito. Il 25 marzo 2017 nel duomo di Milano papa Francesco rivolgendosi a sacerdoti e ai religiosi ebbe a dire: «Le nostre congregazioni non sono nate per essere la massa, ma un po’ di sale e un po’ di lievito, che avrebbe dato il proprio contributo perché la massa crescesse; perché il Popolo di Dio avesse quel “condimento” che gli mancava. Per molti anni abbiamo avuto la tentazione di credere che le famiglie religiose dovessero occupare spazi più che avviare processi […]. Noi dobbiamo avviare processi, non occupare spazi». Il lievito non deve diventare massa. «[…] Io non ho mai visto – afferma papa Francesco – un pizzaiolo che per fare la pizza prenda mezzo chilo di lievito e 100 grammi di farina, no. È al contrario. Il lievito, poco, per far crescere la farina. Oggi la realtà ci invita ad essere nuovamente un po’ di lievito, un po’ di sale». Ritenere di essere in grado di fare sì che il lievito diventi «massa» è, forse, pensare di essere più potenti di Cristo, che non toglie alle persone la libertà. Per noi si pone, allora, l’urgenza di superare sia il peccato di presunzione sia il peccato di omissione. Poiché non si realizza quello che speriamo è facile divenire rinunciatari. Si rischia di lasciarsi trascinare dalla corrente, di essere ininfluenti, rassegnati. È in questi momenti che ci si deve ricordare della missione del lievito, una missione di umiltà e di fiducia in Chi è il lievito. Il problema si supera riconoscendo la propria vocazione, quella del lievito, piccola cosa, ma realtà viva per gli altri.

  1. Conclusione

Quali insegnamenti possiamo trarre dalle parabole del lievito? Il teologo ed esegeta Joachim Jeremias afferma: «Questo è il loro senso: dagli inizi così meschini, da qualcosa che agli occhi degli uomini è nulla, Dio dà origine al suo imponente dominio regale, che abbraccerà tutti i popoli della terra». Ma il Regno di Dio si realizzerà con l’arrivo del Figlio dell’uomo. A noi tocca di lavorare sempre come presenza umile e creativa nel mondo. I discepoli sono coinvolti nella crescita del Regno, ma non sono essi a portarlo a compimento. Più che essere massa greve, amorfa ad essi tocca, per identità e vocazione, essere principio di vita, di fermentazione.

Molte volte, però, si può essere scoraggiati nel non vedere risultati in termini di crescita o di conversioni. L’evangelizzazione e altre opere della Chiesa per la crescita del regno di Dio spesso sembrano avere scarso effetto immediato o evidente. Coloro che si sono impegnati a seguire Gesù possono, allora, legittimamente domandarsi se i loro sforzi in opere e testimonianza abbiano qualche influenza sul mondo. In generale, tutto procede di consueto. Nonostante vi siano, secondo i parametri mondani, alcuni segni di «successo», realizzati da personalità eminenti, è più probabile che i discepoli di Gesù si sentano frustrati e si chiedano perché ottengano una risposta così modesta. Essi lavorano in un campo in cui non sono gli unici protagonisti. Esiste la zizzania e chi la semina. Ecco un’altra parabola che non dobbiamo dimenticare. E, pertanto, vi sarà sempre un discernimento da operare e un giudizio da compiere.

Non è detto che i tempi e le generazioni diventeranno migliori. E comunque, il regno di Dio è diretto verso la vittoria!

Occorre avere pazienza nel vedere il regno di Dio in tutta la sua gloria. Non bisogna perdere la speranza: l’opera di Gesù Cristo non fallirà.

+ Mario Toso

(Videoconferenza ai soci dell’Associazione Il lievito)

[1] Su questo mi permetto di rinviare a M. TOSO, I cattolici e la politica. In un tempo di cambiamento epocale, prefazione di Stefano Zamagni, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2019.

[2] Su questo si veda: M. TOSO, Ecologia integrale dopo il coronavirus, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2020.