[dic 15] Omelia – III domenica di Avvento: decimo anniversario dell’ordinazione episcopale

Faenza, cattedrale 15 dicembre 2015
15-12-2019

«Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11, 4-6). Ecco la risposta di Gesù alla domanda di Giovanni Battista, incarcerato e preso dal dubbio, perché il Figlio di Dio non operava come un giudice severo, che condanna i peccatori e annienta i malvagi. Al contrario, li circondava di attenzione, risuscitava in loro il desiderio di Dio, li convertiva. Gesù risponde di essere venuto sulla terra per essere lo strumento concreto della misericordia del Padre, che a tutti va incontro portando consolazione e salvezza. È questo il modo con cui Egli manifesta il giudizio di Dio. I ciechi, gli zoppi, i lebbrosi, i sordi, recuperano la loro dignità e non sono più esclusi per la loro malattia, i morti ritornano a vivere, mentre ai poveri è annunciata la Buona Notizia. Questo operare di Gesù, che ricrea l’umanità, e fa nuove tutte le cose, non deve essere di ostacolo per il credente. Al contrario, i discepoli devono essere lieti, perché l’umanità intera ultimamente aspira a questo: incontrare e sperimentare la tenerezza di Dio, il suo amore rigeneratore. Gli uomini, figli di Dio, ricercano istintivamente l’affetto del Padre, che riscalda il loro cuore e rafforza il desiderio del bene, del bello.

Vivere l’Avvento è questo: acuire la voglia di essere famiglia, di ritrovare il Padre, di vivere un nuovo rapporto con Dio e i fratelli, in un mondo custodito e coltivato come giardino per tutti.

Oggi, in questa Eucaristia, ricordo il decimo anniversario della mia ordinazione episcopale, avvenuta in san Pietro il 12 dicembre 2009, per le mani del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, salesiano. Nella sua omelia il Cardinale sollecitava i tre vescovi ordinandi (il sottoscritto, Jean Laffitte e Giovanni d’Ercole), proprio nella terza domenica di Avvento, ad essere «Vescovi dell’Avvento», ossia Vescovi chiamati a risvegliare nei cuori dei fedeli l’attesa di Dio. Dio c’è già nel mondo, ma spesso non è riconosciuto. Si vive come se Egli non ci fosse (etsi Deus non daretur). Benedetto XVI ha ripetuto più volte che nel nostro tempo è necessario riportare Dio nel mondo. Ma come risvegliare l’attesa di Dio nei nostri fratelli? Innamorandoci prima noi delle cose meravigliose compiute dal Salvatore, contemplando in particolare la sua venuta in mezzo a noi, in umiltà e in povertà, pregandolo, offrendoci a Lui. Gesù Cristo cambia il mondo e il cuore degli uomini, sconfigge il peccato non con la forza degli eserciti, distruggendo le città, le coscienze, bensì con il fuoco del suo amore, puro, integro, colmo di affetto per Dio e l’uomo.

L’Avvento è promessa di una nuova creazione. Ne è anche inizio, perché è invito ad andare incontro a Colui che viene, con le mani piene di opere buone. Un mondo nuovo albeggia se ognuno prende su di sé, con pazienza e virtù, il dolce e leggero giogo dell’amore di Cristo.

Nel vangelo dell’evangelista Matteo, la tenerezza redentrice di Cristo si manifesta con la guarigione dell’umanità dalla cecità, dalla sordità, da tutto ciò che la paralizza. Nel brano del profeta Isaia la stessa tenerezza redentrice di Cristo viene pre-vista nelle sue conseguenze, e cioè nei segni della rinascita del creato. Cieli nuovi e terra nuova sono i frutti dell’azione trasfiguratrice dell’incarnazione del Verbo di Dio nel cosmo. Il linguaggio è ricco di immagini di vita e di gioia. Il deserto e la terra arida sono invitati a rallegrarsi. La steppa ad esultare e a fiorire come il narciso, a rivestire lo splendore del Carmelo (cf Is 35, 1-6.8.10). Ebbene, le meraviglie compiute dal Signore sono motivo di entusiasmo e di passione nel nostro servizio al Signore: lo sono per i fedeli, per i religiosi, ma anche per i presbiteri e i vescovi.

Per parte mia ho vissuto dapprima la mia passione – la missione del «Vescovo dell’Avvento» – per cinque anni, come Segretario del Pontifico Consiglio della Giustizia e della Pace, a servizio del Sommo Pontefice Benedetto XVI, ma anche per un breve periodo, di papa Francesco. Dopo un quinquennio di intenso lavoro nel preparare testi, eventi di studio, ma anche ricco di contatti con i Dicasteri romani, con delegazioni di vescovi e di ambasciatori presso la Santa Sede, il santo Padre mi ha inviato a continuare la missione del «Vescovo dell’Avvento» qui nella Chiesa che è in Faenza e Modigliana. Ho immaginato il mio servizio episcopale come un continuare a risvegliare nei cuori dei fedeli l’attesa di Dio, pensando di non compiere forzature. Questa volta, con l’aiuto dei presbiteri, dei religiosi, dei diaconi e di laici preparati, si è voluto guardare in avanti, al futuro della Chiesa in questo territorio, partendo dall’analisi della situazione, alla luce del Vangelo e di Cristo operante nella storia. Ecco, allora, l’impegno di riformare la Curia per renderla più consona alle esigenze di una nuova evangelizzazione; la celebrazione del grande Giubileo della Misericordia, con la realizzazione di alcuni segni emblematici, come l’inaugurazione della nuova sede del Centro di ascolto e della Nuova Casa del Clero; l’apertura di una Scuola triennale di formazione all’impegno sociale e politico; l’inaugurazione di un nuovo Ciclo di studi di approfondimento e di aggiornamento teologico-pastorale; l’indizione, la celebrazione del Sinodo dei giovani, ora giunto alla sua fase attuativa; la continuazione della ristrutturazione delle parrocchie e delle Unità pastorali; la riapertura della Biblioteca del Seminario, intitolata al card. G. Cicognani. È stato per me naturale sollecitare a camminare entro la prospettiva della Caritas in veritate, enciclica di Benedetto XVI, dal cui incipit ho tratto il mio motto episcopale. Partire dall’Amore con la A maiuscola, Amore-comunione, per conoscere più in profondità persone, cose e situazioni, per giungere, tutti insieme, piccoli e grandi, alla Verità, anch’essa con la A maiuscola, ossia alla pienezza della Vita, della Gioia. Una piccola sintesi di questo si trova nella Lettera pastorale di quest’anno.

Cari fratelli e sorelle, nonostante i miei numerosi limiti, l’aiuto dello Spirito e della Beata Vergine Maria mi hanno consentito di sperimentare la tenerezza del Padre, riscontrata in tante persone care, incontrate sul mio cammino di pastore. Voi stessi, operai come me nella vigna del Signore, potete testimoniare che chi si impegna nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo, affinché si incarni nelle famiglie, nelle istituzioni, nella società, nella cultura, ha la grazia di entrare nella gioia delle Beatitudini. Chi lavora per Cristo e la sua Chiesa ha l’animo sempre colmo di consolazione, nonostante le difficoltà e le incomprensioni. Cristo vive in noi, fortifica il cuore, inonda del suo Spirito d’amore la missione. Pensando a come non si possa servire bene il Signore da soli, sento, in questa celebrazione, il dovere di ringraziare tutti voi. In particolare, tutti coloro che come confratelli Salesiani (tra i quali il prof. don Gianfranco Coffele, già apprezzato vicerettore dell’Università Salesiana quand’ero Rettore Magnifico, qui presente con il fratello ingegnere Luigi, don Gianfranco Venturi, il prof. don Cleto Pavanetto, il Segretario generale dell’UPS don Jaroslav Rochowiak) mi hanno dato un sostegno fraterno. Desidero, inoltre, esprimere gratitudine nei confronti del vescovo emerito S. Ecc. Mons. Claudio Stagni, dell’infaticabile Vicario generale don Michele Morandi, di tutti i presbiteri, religiosi, religiose, suore claustrali, diaconi, seminaristi, laici di questa Diocesi che mi hanno sopportato e supportato in tante occasioni. Non posso dimenticare gli affezionati, preziosi, pazienti collaboratori della Curia, secondo ogni ordine e grado, i direttori responsabili degli Uffici pastorali – profitto per porgere a tutti gli auguri natalizi -, unitamente ai collaboratori presso il già Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ossia Yuriy, Margherita Romanelli. Ma anche ringrazio la mia famiglia, i parenti e gli amici: i sacerdoti salesiani don Gianni Danesi, don Giuseppe Battello, gli exallievi, sempre salesiani: don Nicola Giacopini, don Luigi Spada, don Sandro Fadda); i sindaci di questo territorio, i benefattori, i rappresentanti del gruppo municipale e dei Rioni faentini. Un grande e riconoscente grazie a tutti! Dio e la Madonna vi benedicano. Unisco il mio grazie al grande grazie di Cristo al Padre in questa Eucaristia.

+ Mario Toso