[gen 6] Omelia – Epifania del Signore

06-01-2021

Faenza, cattedrale Epifania 2021.

Cari fratelli e sorelle, la solennità dell’Epifania ci ricorda la manifestazione di Gesù Bambino come Salvatore di tutti gli uomini. Gesù non è venuto per salvare solo il popolo di Israele. Viene a salvare tutti i popoli, rappresentati dai Magi.  Per questo, nel presepe, oggi sono aggiunti tre nuovi personaggi, recanti in dono oro incenso e mirra. Nella Lettera agli Efesini viene detto chiaramente che tutte le genti sono chiamate a condividere la redenzione in Cristo Gesù, a formare lo stesso corpo (cf Ef 3, 5-6). Tutti i popoli sono destinati a rivestirsi di Cristo, a vivere Cristo, per annunciarlo e testimoniarlo come Luce.

Nel Vangelo di Matteo (Mt 2, 1.12) si racconta proprio il viaggio dei Magi sino a Betlemme, dov’era nato Gesù. Essi erano sapienti orientali, probabilmente astronomi che studiavano le stelle. Giungono a Gerusalemme, seguendo una stella: «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Appena la voce  del loro arrivo e il loro intento si diffondono, nasce lo scompiglio nel palazzo del re Erode. Egli si informa presso i capi dei sacerdoti sul luogo preciso della nascita di Colui che era stato preconizzato dal profeta come capo e pastore del popolo di Israele. Chiama i Magi e addirittura li invia a Betlemme incaricandoli di trovare il Bambino, perché anche lui voleva adorarlo. Noi sappiamo, invece, che Erode era mosso da intenzioni malvagie e voleva sopprimerLo.

Orbene, i Magi andarono a Betlemme e trovarono il bambino con Maria sua Madre. Si prostrarono e lo adorarono, si legge nel Vangelo di Matteo (cf Mt 2,11).  A ben capire, la meta del percorso dei Magi è l’adorazione del Bambino. La ricerca delle loro conoscenze e l’anelito che li sospingeva erano orientati  a vedere faccia a faccia il Signore, per amarlo e darsi a Lui. Questo  significa prostrarsi e adorare.  Il gesto dei Magi è emblematico per noi credenti e per tutti coloro che si pongono alla ricerca sincera del vero, del bene e, in particolare, di Dio.

Non dimentichiamo che adorare è più che prostrarsi. Non è solo piegare il proprio corpo. Più propriamente è flettere il proprio spirito, aprirlo all’amore di Dio. Per noi cristiani «prostrarsi» ed «adorare» equivalgono  esattamente a riconoscere il primato a Dio e a donarsi a Lui. È consegnargli la vita, mettere la vita di Dio prima della propria, prima dei propri tempi, dei propri progetti. Adorare non è guardare alla punta dei nostri piedi, è guardare al Signore. È cambiare le nostre scale di valori. È sicuramente conoscerlo, ma soprattutto amarlo. I capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo conoscono le profezie, le citano esattamente, ma contrariamente a quanto fecero i Magi non vanno ad adorare il Bambino Gesù. Nella vita cristiana non basta sapere qualche nozione del Credo o possedere una specializzazione in teologia. Bisogna piegare le ginocchia, ma soprattutto  occorre uscire da sé  e diventare intimi di Dio, amarlo con tutto se stessi, dando tutto se stessi. Ma, più precisamente, come amarlo? Amarlo non solo come Bambino, così come appare nel presepe. Siamo chiamati ad amarlo per intero, Uomo e Dio insieme, secondo tutta la sua esistenza, terrena e trascendente: ossia come Colui che si incarna per fare nuove tutte le cose, per darci la sua capacità di amare, per iniziare una nuova creazione, combattendo il peccato, morendo sulla croce, mediante il dono totale di sé. Adorare Cristo è giungere ad amare la sua opera di salvezza integrale, che raggiunge ogni uomo, tutto l’uomo, tutti i popoli, il creato.  È unirsi alla sua opera di redenzione, di divinizzazione, di trasfigurazione delle cose e delle relazioni. È parteciparvi, convinti che ciò consente di generare un nuovo pensiero, una nuova cultura, nuovi umanesimi, nuove società, un nuovo inizio.

È affacciarsi, in altri termini, sin sulla soglia dell’eternità. È mettersi alla presenza di Dio, per contemplare la sua vita, la sua azione che redime e trasfigura e unirsi ad essa. Per meglio entrare nel significato della solennità dell’Epifania, ovvero nella manifestazione del Figlio di Dio  vale la spesa fermarsi a riflettere su alcuni aspetti. Ci possono aiutare alcune semplici domande. Eccole. Sono un cristiano che ricerca incessantemente Dio per adorarlo, ossia per mettere tutta la vita a sua disposizione? Sono vicino al Signore Gesù come lo furono i Magi e i pastori perché il loro cuore era umile, non chiuso nella  superbia e nell’autosufficienza, per cui si mossero verso di Lui? Detto diversamente: sono come Erode e i potenti del tempo che, pur essendo vicini geograficamente al luogo della nascita di Gesù, non si diressero verso la grotta, perché non erano vicini con il cuore a Dio? Siamo come Erode che, in definitiva, adora solo se stesso e perciò tenta di liberarsi subdolamente del Bambino, considerato suo concorrente? Anche noi cristiani possiamo in certi momenti non ricercare sinceramente Dio perché in verità vorremmo adorare solo noi stessi. Il non adorare Dio può, però, trasformarsi facilmente in un approvare solo se stessi, il proprio punto di vista. Può portare a non avere altro Dio se non se stessi. Può indurre ad appropriarsi dello stesso Signore  e servirsi di Lui.  E così si cambiano gli interessi di Dio con i nostri. In realtà, come ci insegna la solennità di oggi, Dio non è una nostra proprietà esclusiva, per cui possiamo estromettere dal suo Amore chi non ci è simpatico, non ha il colore della nostra pelle, la nostra religione. Dio è di tutti, per tutti, non solo per alcuni. Egli fa sorgere il suo sole sia sui buoni sia sui cattivi. L’epifania ci dà un respiro di universalità. E questo è il respiro della Chiesa, la quale desidera che tutti i popoli della terra possano incontrare Gesù, fare esperienza del suo amore misericordioso. Un’altra domanda: amo e partecipo intensamente alla nuova creazione inaugurata da Cristo, ossia intendo portare la vita di Cristo in ogni ambito dell’esistenza umana, come: la famiglia, la scuola, l’impresa, le istituzioni, la politica, i mass media? Come i Magi, che non passarono da Erode, non consegno Cristo e la sua Chiesa a coloro che la contrastano, ossia ai nemici? Siamo Chiesa che adora e si affida a Gesù Cristo, al missionario per eccellenza? L’Epifania ci ricorda, come già detto, che la salvezza di Cristo è destinata a tutti. Anche in questa Epifania rinnoviamo l’impegno di una preghiera di adorazione, riscopriamo la nostra vocazione ad essere missionari. Preghiamo per i nostri missionari. Solo se sappiamo adorare – ossia uscire da noi stessi e consegnarci totalmente al Signore – diventa più chiaro il sensodel nostro cammino cristiano, e amiamo  più convintamente la nostra vocazione. Il pane e il vino consacrati diventino per noi sostegno della nostra missionarietà.

                                                   + Mario Toso