Faenza, cattedrale 25 dicembre 2022.
Cari fratelli e sorelle oggi, nel giorno in cui il Figlio eterno del Padre si è fatto uomo e, mediante Lui, Dio ha stabilito la sua dimora sulla nostra terra, in noi, dovremmo insieme esultare. L’annuncio della salvezza per tutti, l’inaugurazione di una nuova creazione dovrebbero suscitare in noi, presenti qui, in città, in Diocesi, nel mondo intero, un unico coro festante. «Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme», perché il Signore consola il suo popolo, riscatta Gerusalemme. «Il Signore – continua Isaia con il suo lirismo coinvolgente – ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio» (Is 52, 7-10).
In un mondo ancora infiacchito dal Covid-19, con le sue molteplici varianti, e nel mezzo di una guerra le cui rovine ci richiamano quelle di Gerusalemme, ma anche le rovine dell’intera umanità – l’attuale guerra che coinvolge non solo Russia e Ucraina -, dovremmo vedere, nella nascita di Gesù, Dio stesso, che ci viene a riscattare dal male, dalle ingiustizie, dalle diseguaglianze e dalle guerre. Lui viene incontro a noi. Viene ad abitare in mezzo a noi come l’Amore più forte dell’odio, come la Vittoria della vita sulla morte. Ad una umanità sfinita e dilaniata da malattie, dalla fame, dai conflitti, dalle distruzioni dell’ambiente e delle risorse comuni, viene incontro Colui che la salva, perché le dona il suo cuore per amare e per ricominciare. Il Verbo fatto carne è la rivelazione del Padre, del suo amore. Riceverlo, credere in Lui, è avere in noi il suo Spirito di verità, accogliere la sua potenza rinnovatrice.
Cari fratelli e sorelle, anche nel Natale in cui Dio si rende presente, si fa uno di noi, è l’Emmanuele, il Dio con noi, c’è sempre in agguato il pericolo di non accorgerci che Egli abita in noi, che mette a nostra disposizione la sua capacità di dono e di perdono. Il Figlio di Dio viene per insegnarci il mestiere d’uomo, per indicarci la via di trasfigurare il mondo e renderlo casa di tutti, per tutti. E, tuttavia, spesso noi siamo così stolti al punto da rifiutare Colui che ci salva e ci conduce alla pienezza della vita. Pur bisognosi di Dio e della sua vita sembra che facciamo di tutto per vanificare il suo dono di grazia e di rinascita. Pensiamo di essere in grado di risolvere tutti i problemi da soli. Non possiamo pensare che l’aver trovato un vaccino – cosa importante, sebbene in una situazione non del tutto chiara dal punto di vista scientifico – equivalga ad aver risolto di colpo le contraddizioni e le diseguaglianze messe allo scoperto dalla pandemia. Questa ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Basti pensare, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.
Grazie alla comunione con Cristo, iniziatore di una nuova creazione, siamo chiamati a porre seriamente in atto un chiaro discernimento su cosa abbiamo imparato dalla situazione della pandemia e su cosa dobbiamo fare per il futuro. Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati di fronte a nuove pandemie, per osare la novità nelle cure e nelle istituzioni sanitarie, per intraprendere una nuova evangelizzazione? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo? Sicuramente abbiamo imparato chela fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Così, tutto ciò è stata l’occasione di un benefico ritorno all’umiltà; di un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; di un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; di un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza; di una consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola “insieme”. Insieme a Cristo, ai vari gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali potremo trovare risposte più efficaci alla pandemia. Lo stesso dobbiamo augurarcelo con riferimento alla guerra in atto tra Russia e Ucraina. Dio può aiutarci a trasformare i nostri criteri abituali – criteri troppo umani – di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale che ci viene donata da Cristo che si fa umanità. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti, con uno sforzo accresciuto, per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune. Tutto ciò sarà possibile solo con Cristo, perché Egli è Dio con noi, che ci rende più capaci di bene, di giustizia e di pace. Per questo Dio si è fatto uomo. Senza di Lui, amato sopra ogni cosa, viviamo inutili stragi come le guerre, non riusciamo a farci dono ai nostri fratelli più bisognosi, includendoli nell’economia e nella società. Celebriamo, dunque, nella gioia la nascita di Gesù Cristo per noi. Portiamolo a tutti. È Lui il dono più grande che possiamo ricevere e offrire all’uomo di oggi, più disorientato, più pauroso. Con Lui entra nella nostra breve vita il grande giorno dell’eternità di Dio, la sua luce.
+ Mario Toso