[apr 25] Omelia – Messa per la Liberazione

25-04-2023

Oggi, 25 aprile, la Chiesa ricorda l’evangelista san Marco. Egli compose il suo Vangelo a Roma, mentre era fedele collaboratore di Paolo e di Pietro. Il suo testo è il più antico dei quattro vangeli.

Nel brano che abbiamo sentito proclamare (cf Mc 16, 15-20) si parla del mandato di Gesù ai suoi discepoli: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato». Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni e le opere che la accompagnavano. Noi siamo famiglia di Dio in cammino nel tempo che costruisce con la presenza e l’aiuto dello Spirito santo, il Regno di Dio.

La Chiesa ancora oggi gioisce nell’obbedire a questo mandato. È un mandato che evidenzia come la sua missione è radicata nel comando di Cristo. Noi credenti riteniamo che, se la Chiesa ha questo grande compito, non l’ha da sé stessa, per sé stessa. Non se lo attribuisce autonomamente. Le è stato affidato direttamente dal Figlio di Dio, inviato dal Padre. La libertà di svolgere la sua opera di santificazione e di evangelizzazione ha un’origine non semplicemente umana. Lungo il tempo, abbiamo assistito a lotte di libertà sia da parte della Chiesa nei confronti di Stati oppressori sia, viceversa, da parte di popoli nei confronti del suo potere temporale.

Oggi, dopo vicende anche dolorose, e in particolare dopo il Concilio Vaticano II, è possibile comprendere meglio quali debbano essere i rapporti tra Chiesa e comunità politiche, in un equilibrio rispettoso delle singole identità e autonomie, nella convergenza al servizio delle persone umane e nella distinzione delle competenze.

Nella festa di san Marco siamo qui a celebrare l’Anniversario della Liberazione dell’Italia alla fine del secondo sanguinoso conflitto mondiale. Il prezioso bene della libertà, così faticosamente conquistata, non va solo commemorato o difeso, per cui rifiutiamo, per la struttura stessa delle nostre persone, ogni autoritarismo totalizzante. Va soprattutto coltivato in tutti i suoi aspetti di relazione con la verità del bene, nell’accoglienza reciproca e nella fraternità, nel colloquio con Dio. Libertà non significa soltanto rispetto dell’altro: è anche prendersi cura di lui perché sia liberato dalle catene delle molteplici schiavitù e gli sia consentito di fiorire nella sua pienezza umana, civile e religiosa. La libertà per cui siamo chiamati a prodigarci non è soltanto spezzare le proprie catene, ma anche vivere in modo da rispettare e accrescere la libertà altrui.[1] Di qui scaturisce il nostro impegno di lavorare alla costruzione di una società libera, di una pace universale. Di qui deriva il compito di essere custodi del creato, bene collettivo, in cui tutto è connesso.

Celebrando la libertà del nostro Paese, non possiamo non pensare a tutti quei popoli che ancora non l’hanno raggiunta e a quanto questo incida sulla situazione mondiale, come è nel caso della guerra tra Russia e Ucraina. La libertà è cosa bella, ma ardua. Dobbiamo meritarla ogni giorno, lottando insieme, dialogando incessantemente, per superare gli squilibri di ogni genere che impediscono a molti di godere di pari opportunità. Di certo il superamento di tali ostacoli può avvenire mediante risposte concertate da parte della comunità internazionale. E, tuttavia, non può mancare il nostro contributo quotidiano, con scelte civili di condanna della violenza, di solidarietà verso coloro che decidono di rimanere nel loro Paese. Dobbiamo aiutarli, per quanto possibile. La solidarietà, offerta invece a casa nostra, dovrà essere volta non solo ad accogliere e ad integrare, ma anche a rendere capaci i profughi e i migranti a partecipare, con libertà e responsabilità, alla costruzione del bene comune, a soccorrere, in un domani, i propri fratelli, senza precludersi di ritornare in patria. Tra gli obiettivi che si pongono innanzi a noi vi è una integrazione che non sia mero appiattimento delle culture, vi è soprattutto quello di lavorare alla costituzione di un popolo coeso, di una società politica fondata sulla comunione delle stesse culture nel bene comune. Tutti i cittadini, secondo la loro vocazione all’amore fraterno, sono chiamati ad entrare nel campo della più vasta carità, della carità politica, scrive papa Francesco nella Fratelli tutti (cf FT n. 180). Tutte le religioni devono imparare a non combattersi, bensì a porsi al servizio del bene comune, a dare un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e della pace.

Anche per questo siamo qui a celebrare l’Eucaristia, atto d’amore culminante nella offerta di noi stessi al Padre con Cristo. Uniamoci a Gesù Cristo che è la Verità che rende liberi ed è Amore pieno di verità. Invochiamo lo Spirito, perché ci renda un cuor solo e un’anima sola, nella comunione con il Padre e tra noi. Preghiamo per tutti coloro che sono morti per ottenere la libertà del nostro Paese. Impariamo da loro ad amare la Patria non solo con un amore umano, ma con lo stesso amore di Cristo.

                                                                      + Mario Toso

[1] Cf M. Magatti-C. Giaccardi, Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, Milano 20165, p. 30.