[apr 1] Riflessione – Consegna della Croce ai Giovani

01-04-2023

Faenza, Chiesa di san Giuseppe, 1aprile 2023

Cosa vuol dire ricevere la croce? Significa più che prendere in mano un crocifisso e appenderlo al collo, incontrare il Crocifisso, unire la propria vita a quella di Gesù Cristo per farne un impegno d’amore come il Suo, sino a donarsi completamente a Dio e ai fratelli. La via della redenzione è la via dell’incarnazione che continua la nuova creazione iniziata da Gesù.  Per chi crede, ricevere la croce vuol dire fare la scelta coraggiosa di essere di Cristo, di viverLo, come ebbe a dire san Paolo, il quale ebbe a scrivere: «Per me vivere è (vivere) Cristo».

Ora, come ci spiega lo stesso Gesù, vivere Cristo è andare dietro a Lui rinnegando sé stessi, prendendo la sua croce ogni giorno per seguirlo (cf Lc 9, 23-25).

Cari giovani, le parole di Gesù le possiamo «tradurre» così: Chi vuole essere suo discepolo lo segua, rinunci al proprio io ripiegato su di sé, investa la sua vita non solo su sé stesso e basta, o solo sui propri interessi, ma su Cristo, sul suo amore. Chi vuol salvare la propria vita trattenendola, senza donarla a Dio e agli altri, la impoverisce, sino a perderla. La nostra vita, come anche la ricchezza, ha spiegato Basilio il Grande, è come l’acqua che la fontana butta sempre più pura se vi si attinge; ma che imputridisce se la si lascia stagnare inutilizzata. Noi cresciamo come persone, come credenti, quando intendiamo la nostra esistenza come un vivere per Cristo, per gli altri, servendoli in maniera disinteressata, affinché possano fiorire come esseri umani e cristiani.

Questa sera, dunque, vi sarà consegnata la croce: un segno di Gesù Cristo, della sua vita offerta. La croce indica, prima ancora delle sofferenze e della morte atroce, una vita animata da un amore senza limiti, che porta a darsi completamente al Padre sino ad essere crocifissi. Consegnandovi la croce, in sostanza, la Chiesa desidera ricordarvi di prendere con voi non tanto una croce di legno, simile a quella che Cristo ha portato sulle sue spalle e sulla quale è stato crocifisso, quanto piuttosto Lui, il suo Amore. Non si tratta di portare al collo una croce, come peraltro fanno diverse persone dello spettacolo, che la mettono al collo o la appendono alle orecchie come un gioiello. Non dobbiamo portare addosso semplicemente un simbolo, per quanto emblematico. Dobbiamo vivere dentro di noi Cristo, il fuoco d’amore che ha vissuto Colui nel quale noi siamo e viviamo.

La croce, inoltre, prima di essere segno di sofferenza, di mortificazione, di devastazione è, per i credenti, segno di un impegno eroico, del massimo dono di sé, di un dono allo stato puro, di una vitalità suprema. Non è, anzitutto, segno di umiliazione, di infelicità, di distruzione del proprio io, di indebolimento. La croce è l’esito di una vita che si pone al servizio di Dio e del prossimo, che lotta contro il male col bene. La vita cristiana non nasce dal desiderio di soffrire per soffrire, da un proposito insano, per un semplice motivo di annientamento di sé, di autodistruzione, di masochismo. Sorge da una passione d’amore, che porta in sé il senso della pienezza della vita, la gioia di vivere. Il che non significa che il credente non passi attraverso sofferenze, sacrifici, e non debba lottare contro il male, l’ingiustizia. Tutt’altro. Chi si dedica, come discepolo di Gesù, a rendere migliore l’umanità, a liberare i propri fratelli dalle schiavitù moderne, incontra, inevitabilmente, opposizioni, trova avversari, incomprensioni, contrasti, tentazioni. Il discepolo non è da meno del Maestro. Basta che pensiamo ai tanti martiri, che anche oggi, pur di non tradire Gesù Cristo, subiscono persecuzioni e vengono trucidati, in vari Paesi, come l’Africa, alcuni Stati dell’Oriente, che ospitano gruppi ostili al cristianesimo.

Per quanto detto, la croce data ad ognuno di voi è da considerare un «concentrato» della vita di Gesù Cristo. Rappresenta Lui stesso, l’essenza della sua sapienza, del suo Vangelo. Non a caso san Francesco d’Assisi in Umbria e i frati minori, suoi discepoli, che ebbero un polo di diffusione nell’eremo di Monte Paolo, qui vicino, a Forlì, ove fu ospite sant’Antonio di Padova, spesso si ritiravano in luoghi solitari, specie sui monti, e portavano con sé poche cose. Tra queste non mancava il crocifisso, che era ritenuto un condensato del Vangelo, un sunto della Bibbia, dell’amore di Dio per noi. Essi parlavano al crocifisso, lo baciavano. Nei vari quadri che raffigurano nelle nostre Chiesa san Carlo Borromeo è ritratto con il volto inclinato, e precisamente con la guancia destra, verso il crocifisso, in atteggiamento affettuoso nei confronti di Cristo.

Prendere, dunque, la croce, per appenderla al vostro collo, vuol dire essere chiamati a seguire Qualcuno, cioè il Signore Gesù. Vuol dire pensare così: per me, al primo posto, non ci sono io, non ci sono i miei genitori, i miei amici o il successo. C’è la persona di Gesù, Via, Verità e Vita. Seguirlo significa non solo camminare con Lui. Esprime un progetto di vita, un andargli dietro per restare a Lui vicini, condividendo la sua vita, le sue scelte, la sua missione. Se amo Gesù, se amo come Lui, non posso non essere missionario di Cristo. Sono una missione.

Chi riceve la croce si ripropone:

  1. Di vivere con una spiritualità centrata sull’amore di Gesù;
  2. Di collocare il proprio cuore in quello di Cristo, come intese fare santa Chiara di Assisi;
  3. Di ritrovare sé stessi mediante il dono di sé, il servizio disinteressato, che ha come meta la crescita degli altri, il bene di tutti o bene comune.

Ricevi il segno della croce sulla fronte: Cristo ti protegga con il suo amore e la sua vittoria

                                                 + Mario Toso