[dic 25] Natale: Messa del Giorno

25-12-2020

Faenza, cattedrale 25 dicembre 2020.

Il Figlio del Padre si è fatto uomo, bambino. Ecco la stupefacente notizia che la liturgia odierna ci invita ad accogliere e a contemplare. Colui che abita nei cieli stabilisce la sua dimora sulla terra, nella nostra umanità, in ciascuno di noi. Si unisce indissolubilmente a noi. È il mistero dell’Incarnazione. L’umanità, ferita dal peccato, indebolita nella sua capacità di vero, di bene e di Dio, è risanata. Per questo, noi che in un certo senso siamo «rovine di Gerusalemme», vedendo nel Figlio, che si fa carne, Colui che ci riscatta e ci rinnova, siamo sollecitati a prorompere insieme in canti di gioia (cf Is 52, 7-10).

Cari fratelli e sorelle, pensiamo allora che, questo Natale, assediato dall’atmosfera cupa e greve della pandemia, rappresenta per noi, nonostante tutto, un punto luce straordinario, non offuscabile. Il Figlio di Dio, che diventa uomo, costituisce, assieme alla sua morte e risurrezione, il perno fondamentale della nostra fede, ed è causa della nostra gioia. La discesa di Cristo nella nostra umanità non è il rimpicciolimento di Dio che perde la sua divinità. È, invece, il suo abbassarsi sino a noi, per consentirci di essere figli di Dio, figli nel Figlio, attraverso un ammirabile scambio (admirabile commercium) di nature, tra quella umana e quella divina, come sottolineò sant’Agostino d’Ippona.

L’incarnazione del Figlio è in vista del nostro essere innalzati alla vita di Dio. È per renderci partecipi della capacità di amare del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Spesso ci dimentichiamo di questa verità fondamentale della nostra fede. Non pensiamo al realismo dell’Incarnazione di Cristo, che ci costituisce esseri più che umani, persone trascendenti, aperte alla pienezza d’essere di Dio. Gesù che viene in noi, a vivere con noi, ci eleva, ci porta ad esistere su un piano superiore. Senza Gesù Cristo, l’uomo non riesce a comprendere chi egli sia, non sa dove andare, perde la direzione del cammino. L’incarnazione di Gesù, allora, non può essere trascurata dal cristiano, come se non ci fosse in noi un principio di vita nuova. Diventeremmo più superficiali, incapaci di cogliere l’importanza della vita, dall’inizio del suo concepimento sino alla morte; diventeremmo più indifferenti nei confronti dei diritti  e dei doveri inalienabili della persona, più aperti ad una cultura dello scarto, più insensibili alla fraternità trascendente, aperta a tutti.

Se è vero che il Figlio di Dio viene sulla terra per insegnare all’uomo il suo mestiere d’uomo, è altrettanto vero che Egli ci insegna a viverlo come figli di Dio, che sanno amare come Lui e che sono fratelli tra di loro. La meditazione del mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio che, abbassandosi, si fa povero per arricchirci, ossia perché possiamo essere figli di Dio, deve accompagnarci tutti i giorni della vita, in qualunque ambito operiamo.

Come sacerdoti, come mamme e papà, come professionisti, come amministratori del bene comune, come educatori, come operatori della Caritas, come volontari, come cultori della pace dobbiamo agire con cuore ed occhi nuovi, che sanno vedere in profondità in ogni essere umano, anche il più povero, il volto di Gesù Cristo. Riconoscendo in tutti l’altissima dignità dei figli di Dio cambiamo completamente il nostro approccio, il senso del nostro servizio, della stessa cura che dobbiamo avere nei confronti dei nostri fratelli e sorelle, piccoli e grandi. Viviamo, dunque, il realismo dell’incarnazione che richiede una nuova visione della realtà. L’incarnazione ci ricorda che siamo creature, amate da Dio, che apparteniamo a Lui, che ci apparteniamo a vicenda e siamo parte della creazione. È da questa visione e comprensione che scaturisce il nostro amore per gli altri: un amore non guadagnato o comprato, perché tutto ciò che siamo e abbiamo è un dono che non ci siamo meritati. Il realismo dell’incarnazione, cari fratelli e sorelle, ci accompagni sempre come principio e legge della trasfigurazione degli ambienti di vita e delle relazioni. Grazie all’incarnazione, il nostro vedere, il nostro scegliere e il nostro agire, il nostro amare e il nostro sperare, specie in tempo di pandemia, sono diversi. Dio con noi mette alla prova il nostro modo abituale di pensare, le nostre categorie, i nostri stereotipi troppo umani, le nostre priorità. Mette in discussione i nostri stili di vita, la cultura dello scarto. L’amore che ci porta il Bambino Gesù ci mette alla prova come la fornace mette alla prova i vasi del ceramista (Siracide 27,5).

Partecipando alla nuova creazione, che Cristo è venuto a iniziare con la sua Incarnazione, apriamoci fiduciosi ad un mondo nuovo, che è già presente, ma che attende la corresponsabilità di artigiani intelligenti ed operosi di pace.

Buon Natale a tutti: bambini, giovani, adulti, nonni e nonne; specie alle persone sole e malate!

                                              + Mario Toso

                            Vescovo di Faenza-Modigliana