Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Faenza, convento delle Clarisse 25 gennaio 2019
25-01-2019
La chiusura della Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani coincide con la Festa della conversione di san Paolo apostolo. Il tema centrale offerto alla nostra meditazione nella Settimana di preghiera è stato questo: «Cercate di essere veramente giusti» (Deuteronomio 16, 18-20). Che vuol dire in concreto, con riferimento al bisogno di realizzare l’unità dei cristiani? Occorre passare dalle parole ai fatti con azioni di unità, giustizia e misericordia. Occorre proseguire nella direzione di una comunione riconciliata. L’invito ad essere veramente giusti, come abbiamo pregato il 18 gennaio scorso, diventa impegno a vivere non solo una giustizia semplicemente umana, bensì a praticare una giustizia più che umana, una giustizia nuova, fondata cioè sull’amore di Dio. Solo una tale giustizia, dopo secoli di contrasti, aiuta a rapportarsi con gli altri cristiani, in modo da dare a ciascuno ciò che spetta alla loro altissima dignità di figli di Dio. Ai figli nel Figlio spetta una giustizia commisurata alla figliolanza divina e alla fraternità, che ci radicano nella vita in Gesù Cristo. Detto diversamente, l’unità si realizza non ponendosi su un gradino più alto degli altri, non riconoscendo la loro dignità di figli di Dio,[1] perché con questo modo di fare si creano distanze ancora maggiori, non si costruiscono ponti, bensì si scavano fossati. La soluzione alle divisioni e alle incomprensioni si trova convergendo su ciò che unisce e ci rende maggiormente membra gli uni degli altri, ossia su Gesù Cristo e il suo Vangelo.

In questa ultima giornata della settimana di preghiera siamo sollecitati ad essere costantemente persone e comunità di luce. I credenti, innestati in Cristo, luce del mondo, diventano, a loro volta, luce nel Signore, perché partecipano della sua vita in pienezza. La vita del Figlio di Dio è in se stessa luce: una luce che fa guarire dalla cecità interiore, illumina la mente e, quindi, fa vedere bene nelle profondità di Dio e della nostra stessa vita di credenti che si appartengono reciprocamente. Ecco un punto decisivo. Nel realizzare l’unità non si parte da una estraneità totale. Per procedere in un processo di unificazione è indispensabile riconoscere i propri errori e i propri limiti, ossia essere umili, capaci di superare le chiusure, per aprirsi, alla fine, a ciò che accomuna, all’accoglienza degli altri nel nostro «noi in Cristo», che godiamo grazie a Lui stesso. Un tale aprirsi è facilitato dal nostro previo appartenere a Dio Padre e a Cristo, a Colui che è pieno di vita, di verità e di amore, fonti di comunione spirituale e morale.

Il Figlio di Dio è Luce, proprio perché pienezza di vita. È vita vittoriosa sulla morte e sul peccato, vita che rifulge mediante la risurrezione. Paolo, che perseguitava i cristiani con caparbietà e crudeltà, è sbalzato da cavallo sulla strada di Damasco, proprio da una luce sfolgorante, accecante. È il Risorto che lo afferra, lo incontra, lo attira nella sua luce. Si rivela a lui come Signore pieno di vita gloriosa, amore invincibile. E così lo trasforma da accanito persecutore in apostolo che si prende cura dei suoi fratelli, non solo dei suoi correligionari. L’incontro di Paolo con Cristo risorto, fuoco e passione di comunione e di unità, ci fa comprendere dove possiamo attingere forza, luce, capacità di perdono per superare le divisioni tra noi, tra cattolici ed ortodossi, tra protestanti, anglicani, Chiese della Riforma e Chiesa di Roma. Forse, in passato, ma ancora oggi, si è dato e si dà troppa importanza alle proprie vedute particolari, anziché a Cristo, all’unico Corpo mistico. Scismi, divisioni e scomuniche reciproche sono avvenuti e continuano ad esserci, perché nei vari cristiani e nelle varie Chiese non sempre alberga quell’amore al Padre comune, quella passione di comunione e di unità che è in Cristo Gesù. Se diventassero pienamente nostri ci aiuterebbero a vincere gli asti, le ripicche, a corroborare la fraternità, la fede.

Pregare per l’unità dei cristiani significa, al lato pratico, pregare perché tutti convergano e siano uno in Gesù Cristo e col Padre. Il nostro Salvatore, infatti, ha pregato così: «Che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Per crescere nell’unità occorre assegnare il primo posto all’Amore con la A maiuscola. La divisione tra i cristiani è uno scandalo, è controtestimonianza rispetto a ciò che dobbiamo essere.

In un mondo frammentato, come cristiani siamo sollecitati a mostrare una comune testimonianza, per affermare la giustizia e per essere strumenti della Grazia guaritrice di Dio. Più ci radicheremo in Cristo più saranno ridimensionate o tolte le incomprensioni, le ragioni delle divisioni. Solo quando noi ascendiamo verso un punto superiore di verità possiamo scorgere meglio le ragioni dell’unità. Saliamo, dunque, sul Calvario. Immedesimiamoci nel Sacerdote che muore per renderci un unico popolo. Celebriamo l’Eucaristia, sacramento dell’unità per eccellenza, con il coraggio di togliere tutto ciò che ci allontana dal Sommo pontefice, Cristo, Colui che si costituisce ponte di unità tra noi e con il Padre. Come ricordò alcuni anni fa papa Benedetto XVI i cristiani aggravano le loro divisioni per due ragioni fondamentali. La prima è la rinuncia da parte delle comunità di agire come corpo unito preferendo operare secondo il principio delle scelte particolaristiche e locali. La seconda ragione è data dalla preferenza data a quella comunità che meglio incontra i propri gusti personali. Il risultato? A un livello generale è riscontrabile la moltiplicazione di comunità separate. A un livello personale si manifesta un cristianesimo «fai da te». Ciò che si riscontra tra le varie Chiese spesso si verifica anche nelle nostre parrocchie, mediante la moltiplicazione di gruppi disarticolati e la coltivazione di un cristianesimo individualistico. Chi ama Cristo ama tutti e ricerca l’unità, sperimenta la forza trasfiguratrice del suo Spirito. Desideriamo diventare specialisti dell’unità ecumenica? Viviamo intanto e per prima cosa in maniera sinodale nelle nostre Diocesi. Chi è diviso al proprio interno difficilmente diventa protagonista dell’unità. Camminiamo insieme, nell’amore e nella verità. Dialoghiamo non per avere ragione noi e per far passare i nostri particolarismi, per imporre le nostre faziosità, ma per convergere verso la verità che è Cristo, che tutti ci unifica e trasfigura. Solo così saremo allenati ad accogliere i nostri fratelli divisi, a non essere estraniati reciprocamente. L’ecumenismo quale processo di progressiva conversione ed unificazione non è un optional, un qualcosa di facoltativo. Il Signore, infatti, ci vuole e ci convoca nella comunione e nell’unità di ciò che ci supera e, proprio per questo, ci arricchisce tutti: la sua Vita. Diventiamo un cuor solo ed un’anima sola per la gloria del Signore. Conserviamo l’unità dello spirito mediante il vincolo della pace. Riconosciamo ed amiamo un solo Dio e Padre, che è presente ed opera in tutti. Preghiamo per tutti coloro che credono e lavorano per un ecumenismo che muove passi concreti verso l’unificazione in Cristo Signore.

[1] «Coloro che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica. Sicuramente le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la Chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, costituiscono non pochi impedimenti, e talvolta gravi, alla piena comunione ecclesiale. Al superamento di essi tende appunto il movimento ecumenico» (Unitatis Redintegratio, n. 3).

+ Mario Toso