Omelia per la prima domenica di Avvento

Faenza, basilica cattedrale, 2 dicembre 2018
02-12-2018

Con questa domenica inizia un nuovo anno liturgico. L’Avvento è periodo di attesa – da parte di ogni credente, della comunità ecclesiale, della famiglia umana -; è occasione di silenzio, di preghiera e di contemplazione di Colui che viene per portare pienezza di vita, redenzione dal peccato, trasfigurazione. Tutti sappiamo quanto Dio, il suo Amore, la sua giustizia manchino nella nostra vita. Proprio per questo, la nostra attesa è più viva ed acuta. L’Avvento ci fa sperimentare maggiormente il senso della nostra incompiutezza, del limite mai superato, della fame spirituale mai saziata.

Ben venga, allora, l’augurio di san Paolo rivolto ai Tessalonicesi, ma anche a noi: il Signore che viene, «vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità» (1 Ts 3, 12 – 4, 2). Paolo spera per i credenti tutto questo, come un cammino continuo, che è da compiere davanti a Dio e Padre nostro, progredendo sempre di più, sino «alla venuta del Signore nostro Gesù», ossia sino al suo ritorno glorioso, alla fine dei tempi.

L’Avvento, che è celebrato ogni anno, va considerato, pertanto, come un essere protesi incessantemente nell’accogliere e nel far venire Gesù nella nostra esistenza, nel modellare la nostra vita – nell’essere e nell’agire -, perché sia compenetrata dalla sua forma di vita, quella del Figlio, che è servo del Signore, sino al dono totale di sé. L’Avvento ci ricorda che Gesù Cristo viene ad incarnarsi nell’umanità, nelle persone, per redimerle, per renderle più capaci di vero, di bene e di Dio. Ci rammenta che l’umanità nuova, portata da Gesù nella storia, va accolta, vissuta, testimoniata, sino alla fine dei nostri giorni, per prepararci al nostro incontro finale con Cristo. Detto altrimenti, i singoli credenti, le comunità cristiane, sono chiamate a proseguire l’incarnazione redentrice, liberatrice e trasfiguratrice di Cristo. Come? Vivendo Cristo stesso, il suo Spirito d’amore, il suo amore filiale nei confronti del Padre, in tutti i momenti della loro esistenza, in tutte le loro attività, in tutti gli ambienti di vita. Mettendo dentro, incarnando, nelle famiglie, nella scuola, nell’educazione, nelle istituzioni, nelle leggi, la sua umanità nuova. Siamo chiamati, dunque, ad essere sempre, ogni anno, ogni giorno, popolo dell’attesa, popolo dell’accoglienza di Dio che viene, popolo dell’incarnazione della sua Nuova Umanità. Siamo chiamati ad essere popolo del Verbo che si fa carne. Se non siamo fedeli, nelle varie attività che svolgiamo, alla nostra identità di popolo chiamato ad incarnare l’umanità nuova di Cristo nella storia; se non siamo fedeli, nei nostri compiti sociali e politici, all’ispirazione cristiana, vanifichiamo o ostacoliamo l’incarnazione di Cristo. Detto diversamente: se ci comportiamo come credenti nei quali c’è separazione tra fede e vita, non siamo fedeli all’Avvento di Cristo, alla nostra missione di persone chiamati a prolungare l’azione di Cristo nella storia.

Con tutto questo, l’Avvento, ed anche il Vangelo di questa domenica (cf Lc 21,25 – 28. 34-36), ci sollecita, conseguentemente, a non essere assopiti, appesantiti dagli affanni della vita, ad essere vigilanti rispetto all’esistente, ossia capaci di discernimento; ad essere popolo nuovo, impegnato a lottare contro il male, l’illegalità, l’ingiustizia, l’emarginazione, le diseguaglianze, la distruzione del creato, ossia ad essere popolo più fraterno, giusto, pacifico, conviviale. Non dimentichiamo che tutto ciò diventa possibile quando le nostre fatiche, i nostri sacrifici, la nostra passione di vita, si conformano alla vita di Gesù Cristo, al suo amore filiale. Diventeremo costruttori di una nuova società quando saremo sempre più figli di Dio, vivendo i nostri impegni quotidiani con l’amore di Gesù Cristo. Mentre plasmeremo frammenti di mondo e di storia secondo il cuore di Cristo edificheremo il suo Corpo, la Chiesa, germe del Regno di Dio in terra.
Maria Immacolata ci sia modello: nell’ascolto, nel silenzio della contemplazione, nella preghiera, nel comprendere che la salvezza sarà opera di Dio che, però, ha bisogno della nostra umile collaborazione; nella gioia del dono e dell’operosità solerte.

Viviamo questo tempo nella speranza di vedere il volto di Gesù, nel prossimo Natale e alla fine della nostra vita, come una mamma attende con speranza la nascita del proprio figlio per vederne il volto, lo sguardo, il sorriso. Ricordo che oggi, prima domenica di Avvento, è la giornata di solidarietà nei confronti dei nostri sacerdoti anziani ed ammalati, ospiti presso la Casa del clero “Card. Amleto G. Cicognani”.

+ Mario Toso