Omelia per l’Ingresso del nuovo parroco di S.Terenzio

17-06-2018

Cari fratelli e sorelle, l’inizio del ministero del nuovo parroco, don Paolo Bagnoli, ci offre, specie mediante la Parola appena proclamata, l’opportunità di riflettere sul popolo e sul Regno di Dio. Essi sono raffigurati dal profeta Ezechiele come un ramoscello di cedro, piantato in terra, che mette rami e produce benefici per tutti, divenendo una pianta maestosa ove dimorano e prendono riparo gli uccelli del cielo (cf Ez 17, 22-24). Il Vangelo di Marco li rappresenta sia come un seme di grano che, gettato sul terreno, germoglia, cresce, produce altri semi che giungono a maturazione nelle spighe; sia come un granello di senape che, pur essendo il più piccolo di tutti i semi, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così frondosi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra (cf Mc 4, 26-34).

Gesù non definisce con precisione cos’è il Regno di Dio. Ci fa capire cos’è parlandone in maniera piuttosto indiretta, facendo riferimento agli effetti. Il Regno dei cieli è capace di cambiare il mondo come il lievito nella pasta. È piccolo ed umile come un granello di senape ma diviene grande. Fuori di metafora, il Regno di Dio si fa presente in noi nella persona stessa di Gesù. Si tratta di una presenza che trasforma l’esistenza e rende aperti alle esigenze dei fratelli. È presenza che accoglie ogni altra presenza. È Lui il seme. Egli è Colui che rende creativo il suo popolo, ogni comunità parrocchiale, portandola a contatto con le famiglie, con i più deboli, con i lontani. Per non rimanere nell’astratto, dobbiamo immaginare che la presenza di Cristo nel popolo della parrocchia di san Terenzio in cattedrale lo solleciti a mettersi in ginocchio specialmente davanti alle persone ammalate, sole, davanti agli immigrati che abitano un centro città sempre più spopolato, per lavare a loro i piedi, per portare la tenerezza del Padre, per donare Gesù Cristo. Oggi, poi, è fondamentale che ogni parrocchia renda protagonisti nell’evangelizzazione i giovani, proprio perché sono pochi e non sempre hanno una visione positiva della propria comunità. Essi devono essere accompagnati e aiutati nella percezione della loro chiamata ad un servizio d’amore nei confronti del mondo e dei loro coetanei. Solo una comunità gioiosa riesce ad evangelizzare. La gioia cresce celebrando e festeggiando la salvezza ricevuta, testimoniata dalla vita dei santi, specie di quelli le cui insigni reliquie ci richiamano la loro opera in questo territorio. In questi tre anni di presenza in questa Diocesi, più volte mi sono sommessamente domandato: perché il co-patrono della Diocesi san Pier Damiani, santo che fa onore a tutta la Chiesa, non viene adeguatamente festeggiato proprio nella chiesa che ne ospita le spoglie? Bisognerà, forse, ripensarne la festa, magari con il concorso delle varie parrocchie della città. Per educare il popolo di Dio alla speranza, occorre, poi, che la liturgia sia bella, partecipata, accompagnata dal canto della comunità. Partecipare alla celebrazione dell’Eucaristia dev’essere momento di contemplazione, di esperienza profonda di fede, di carità, di comunione con Dio e tra le persone.

Data la sua centralità e dato il suo legame con il Capitolo dei canonici, la comunità di san Terenzio è chiamata ad offrire, specie ai credenti di passaggio, e che vengono a venerare la Beata Vergine delle Grazie, il servizio rigenerante e costante della Riconciliazione.

Caro don Paolo, il futuro piano pastorale della parrocchia che ti viene affidata sarà, in particolare, ripensato e rinnovato alla luce dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco. La nostra Diocesi, anche con l’ausilio di vescovi e presbiteri esperti, vi ha riflettuto per un anno intero. Forse, ce ne siamo già dimenticati. Tra i fedeli la pastorale va rimodellata in chiave missionaria, tenuto conto della propria vocazione, della scarsità dei protagonisti dell’evangelizzazione, abbandonando il comodo criterio del «si è fatto sempre così». Il segreto di una crescita comunitaria sta nel camminare insieme, non da soli, diminuendo le chiacchiere superflue, accrescendo l’operatività solerte. Vanno superati sia il clericalismo da parte dei presbiteri sia il clericalismo da parte dei fedeli laici che intendono sostituirsi ai sacerdoti, sia il complesso, sempre più praticato, di occultare la propria identità cristiana, sia l’accidia per cui non si fa granché per migliorare la propria comunità, sia la voglia di dominare spazi nella Chiesa, facendo il deserto attorno a sé, sia le piccole guerre intestine per invidia e gelosia. Deve, invece, vigoreggiare la stima reciproca. Ognuno deve riproporsi di portare i pesi degli altri. Per quanto detto c’è bisogno di una formazione seria, anche con riferimento alle molteplici approssimazioni circa la natura della Chiesa, il mistero della comunione con Cristo e tra i fedeli, le promesse di obbedienza al vescovo da parte dei presbiteri, la famiglia – ha fatto bene papa Francesco a rimarcare recentemente che la famiglia umana come immagine di Dio, uomo e donna, è una sola, anche se si attribuisce il termine “famiglia” a più realtà -, la vita dal suo nascere alla sua fine naturale. E, comunque, l’unità va incentrata e vissuta a partire dall’Eucaristia. Come ci ha insegnato sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire, la nostra vocazione è quella di assumere una concezione eucaristica della vita, ossia quella dell’offerta di noi stessi a Cristo, dell’assimilazione a Lui. Il vescovo Ignazio riteneva di essere frumento e ardeva dal desiderio di diventare il pane bianco di Cristo (cf Lettera ai Romani 4, 1). Cari fratelli e sorelle, come Cristo nell’Eucaristia si fa cibo per noi, occorre che diventiamo pane per gli altri, popolo che vive per gli altri, capace di infondere novità di vita nella cultura, nelle istituzioni, nella vita associativa. Dio Padre e la Beata Vergine delle Grazie benedicano questa comunità e il suo nuovo pastore.