Omelia per la Solennità della Beata Vergine delle Grazie

12-05-2018

Carissimi tutti,

in questo sabato prima della seconda domenica di maggio ricordiamo la Beata Vergine delle Grazie, patrona principale della città e della diocesi. Come ci è stato descritto dagli Atti degli apostoli i credenti erano assidui e concordi nella preghiera con Maria (cf At 1, 12-14). Anche noi oggi siamo riuniti con Maria per pregare per la nostra città e diocesi, in particolare per il Sinodo dei giovani, che si avvicina alla sua celebrazione, che inizierà a fine settembre prossimo.

Oggi sono qui con noi i Sinodali che ricevono ufficialmente il loro mandato; ma sono qui anche gli ammalati, accompagnati dall’Unitalsi diocesana. I nostri fratelli ammalati portano ai Sinodali e a tutti i nostri giovani la loro solidarietà con l’offerta delle loro sofferenze e della loro preghiera. Rappresentano anche la generazione dei nonni che trepidano per la fede dei nipoti. I nonni, assieme a tutte le altre componenti ecclesiali, si sentono uniti alla comunità diocesana e partecipano a questa celebrazione, affinché il Sinodo dei giovani alimenti fucine e laboratori in cui le nuove generazioni siano maggiormente temprate nell’annuncio gioioso del Vangelo e nella costruzione del Regno di Dio in questo territorio.

Come ci ha spiegato papa Francesco, la proposta del Vangelo che ogni comunità cristiana deve fare ai giovani non consiste solo nella coltivazione di un rapporto personale con Dio, senz’altro prioritario. Così, la risposta d’amore dei giovani non dovrebbe ridursi a una semplice somma di piccoli gesti personali nei confronti dei fratelli bisognosi. La proposta è più vasta. È il Regno di Dio (cf Lc 4,43). Si tratta di formare ad amare Dio che regna nel mondo, che raggiunge ogni uomo, tutto l’uomo. Si tratta di inserire i giovani nella concreta profezia del Regno di Dio, che comprende una «nuova creazione», l’evangelizzazione del sociale. Evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio. Detto diversamente, i nostri giovani devono essere sollecitati ad amare Dio che opera nel mondo, a far sì che Egli sia presente in tutti, ad aprirgli le strade, a trasformare persone, istituzioni, legislazioni con il suo Spirito d’amore. I giovani rispondono alla loro vocazione quando divengono costruttori responsabili sia della Chiesa sia di un mondo più giusto, fraterno e giusto. La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo, per la famiglia umana.

I Sinodali, ricevendo il mandato, non ricevono un mero titolo di onore. Sull’esempio di Maria, che risponde all’angelo annunciatore «Eccomi, sono la serva del Signore», dichiarano di essere disponibili a lavorare per trasformare ogni parrocchia, ogni associazione in comunità che vive, opera, comunica gioiosamente Cristo, affinché sia Tutto in tutto. Papa Francesco ci ha ricordato che oggi è vitale che la Chiesa, con tutte le sue componenti, prenda il largo, esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, senza indugio, senza paura (cf Evangelii gaudium [= EG], n. 23). Una profonda fede non è mai comoda e individualista. Implica sempre il desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. La Chiesa non può e non deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia. Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della edificazione di un mondo migliore (cf EG n. 183). Ecco perché tra gli obiettivi del Sinodo dei giovani vi è quello che le nostre comunità coltivino un cuore e un sogno utopici, cioè la visione di un mondo pieno di vita e di speranza per tutti, a cominciare dai più poveri.

In vista di ciò è indispensabile che i giovani siano accompagnati nel coltivare un’identità centrata sul pro-essere, sul vivere perché gli altri abbiano vita piena, per la propria comunità e per il mondo intero, sull’esempio e con lo Spirito di Cristo. Vittorio Bachelet, giurista, presidente dell’AC, assassinato dalle Brigate rosse mentre insegnava all’università, si lamentava che nelle comunità cristiane spesso ci si limita a formare dei «sacrestani» e non dei cristiani, che siano sale della terra. Chi intende formare nuovi evangelizzatori e testimoni si deve impegnare ad educare coscienze critiche, non a sostituirle. Deve abilitarle al discernimento vocazionale, a lasciarsi possedere da quell’amore gratuito e incondizionato, che è donato dallo Spirito di Cristo, ad essere coinvolte nell’edificazione della Chiesa e della città dell’uomo, a vivere una spiritualità missionaria.

Nel brano del Vangelo di oggi, Maria è presentata come colei che sollecita Gesù a compiere il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino, per la gioia degli sposi e degli invitati al matrimonio (cf Gv 1-11). Gesù procura il vino per una festa privata di nozze: un vino che, però, è segno di un altro vino, ossia del suo sangue versato, con il quale vengono celebrate e si festeggiano le nozze di Dio con l’umanità. Le nozze di Cana indicano che l’ora delle nozze di Dio con il suo popolo è iniziata con il Signore Gesù.

Alla luce delle nozze di Cana, che ci rimandano all’Eucaristia, luogo in cui il Signore celebra le sue nozze con noi, offrendo la sua vita, versando il suo sangue, desidero ricordare tutti gli anniversari e i giubilei sacerdotali già menzionati dal Vicario generale, e il 40° anniversario della mia ordinazione sacerdotale. Il Signore ha voluto attirarmi maggiormente a sé, conferendomi il mandato di perdonare, affidandomi le parole della Consacrazione nell’Eucaristia, mandandomi ad annunciare la sua Parola. Una cosa che ho progressivamente compresa nel mio ministero presbiterale  – che, sempre per suo dono, si è allargato in quello episcopale -, è che portare frutto nella comunità cristiana significa amare sempre, vivere nella tenerezza di Dio, essere ottimisti nonostante tutto. Implica pazienza, umiltà, assimilazione della nostra volontà a quella di Dio. Essere sacerdoti è assumere sulle proprie spalle il giogo dolce di Cristo (cf Mt 11,29). Generare frutti maturi vuol dire assaporare la dolcezza di Cristo, il suo vino, quel vino che è passione, crocifissione, sangue versato. In tutto ciò c’è perfetta letizia. Quarant’anni di ministero presbiterale è l’occasione della gratitudine: gratitudine al Signore per l’amicizia che mi ha donato: «Non vi chiamo più servi ma amici» (cf Gv 15,15). Gratitudine alla Madonna, ai miei genitori, alle persone che mi hanno formato ed accompagnato. Gratitudine a tutti voi, specie a chi, volendo la celebrazione di questo quarantesimo, sebbene fuori dai ritmi «canonici» degli anniversari importanti, desidera esprimermi affetto e vicinanza. Grazie. Il Signore vi benedica.