Omelia per la festa patronale di Villa San Martino

11-11-2017

Cari fratelli e sorelle, celebriamo oggi la festa patronale di san Martino di Tours: prima arruolato nella cavalleria romana, poi vescovo, dedito non solo alle attività caritative, come ci ricorda la raffigurazione classica di lui a cavallo che taglia il proprio mantello per darne metà al povero intirizzito dal freddo, ma consacrato anche alla formazione della fede, delle guide del popolo di Dio – oltre ad aver fondato a Ligugé il primo monastero dell’Europa occidentale, costituì a Marmoutier una comunità per la formazione del clero -; impegnato nell’evangelizzazione del sociale: per vent’anni operò per l’evangelizzazione delle campagne, abbattendo idoli pagani e sostenendo i poveri contro l’esasperato fiscalismo imperiale.

Oggi, noi come viviamo?

Viviamo immersi in una crisi etico-culturale epocale, che tocca non solo l’economia, ma raggiunge anche la politica, il costume sociale, la fede. Crescono le diseguaglianze e le povertà, l’indifferenza nei confronti di Dio, gli attacchi alla libertà religiosa. La cultura consumistica ed individualistica, che intacca l’integrità dei beni collettivi come l’acqua, l’ambiente, la famiglia non sembra diminuire. La comunità ecclesiale, mentre gli adulti invecchiano, mostra una certa incapacità di comunicare la fede alle nuove generazioni. I giovani vivono uno scarso senso di appartenenza al popolo cristiano. La dimensione sociale della fede viene trascurata e si privilegia l’aspetto caritativo assistenziale.

Abbiamo bisogno di nuovo pensiero, di una nuova cultura, soprattutto di redenzione, di una nuova evangelizzazione. Proprio per questo siamo impegnati nella preparazione di un Sinodo dei giovani, che coinvolge tutte le comunità e le loro componenti.

La festa di san Martino porta luce, indica la via di un nuovo pensiero, di una nuova cultura, della redenzione, di una evangelizzazione più missionaria, a cui ci ha invitati la Evangelii gaudium di papa Francesco. Questa chiesa, espressione di una fede profonda, comunicata mediante l’arte, non è solo pietra o legni pregiati lavorati dalla mano sapiente dell’uomo. È ben di più: è stata ed è popolo; è stata ed è comunione plasmata dallo Spirito di Dio; è stata ed è comunità di persone che accolgono, celebrano, testimoniano la salvezza di Cristo, l’Amore di Dio per il creato, per l’uomo, specie i più poveri. In questa chiesa, come in ogni chiesa del mondo, il cielo (Dio) si unisce alla terra (Umanità), e la terra diventa cielo: Dio è uno di noi, cammina con noi, si dona a noi perché diventiamo, a nostra volta, dono agli altri. Ogni giorno, ogni domenica, la Parola di Dio, la vita stessa di Dio, irrompono nella nostra vita: carica di limiti pesanti, spesso stanca di lottare, esausta di forze, povera di speranza. La trascendenza e la ricchezza di Dio, mediante i sacramenti, ci inondano: fertilizzano la nostra piccola e ristretta mente, rianimano i nostri cuori che tendono a divenire di pietra, chiusi in se stessi. E così, è sempre posto, proprio in questo lembo di terra ravennate, per ogni generazione, il principio di un pensiero che vince la sclerotizzazione. È sempre disponibile l’origine di un amore che supera il ripiegamento nell’egoismo umano.

Cari fratelli e care sorelle, custodite il tesoro di fede e di cultura che è rappresentato da questa vostra chiesa. Amate la vostra comunità. Coltivate, soprattutto, la vostra comunione rigenerante con Gesù Cristo: è Lui che redime e salva. Nessun altro.

Siamo stati impegnati, come accennato, a recepire la Lettera apostolica di papa Francesco Evangelii gaudium. Sono tante le ragioni per cui siamo chiamati ad annunciare Gesù Cristo con un rinnovato ardore, con una fede più autentica, adulta, affinché molti, tutti possibilmente, Lo possano incontrare o reincontrare, in questo territorio, nei nuovi contesti sociali di scristianizzazione, di laicismo aggressivo, di nihilismo. Ma la ragione principale per cui dobbiamo dispiegare un’evangelizzazione più convinta e gioiosa è che solo Gesù Cristo redime e salva! È lui la chiave di volta della storia, principio e fine. Solo Lui trasfigura l’esistenza ed offre senso al nostro soffrire e al nostro correre continuo.

L’evangelizzazione a cui ci sollecita papa Francesco dev’essere l’occasione di un rinnovato incontro con Gesù Cristo, morto e risorto, che guarisce i mali e che trasfigura la nostra esistenza colmandola col suo Amore. Un nuovo pensiero, una nuova cultura nascono dall’incontro con Gesù Cristo, accolto ed amato con tutto il cuore, sopra ogni cosa. Solo l’incontro con Lui capovolge le nostre scale di beni-valori che pongono in cima a tutto il potere, il successo, il profitto a breve, l’avidità, la tecnica, mentre Dio e la vita spirituale, il povero vengono emarginati. Solo l’amare Gesù Cristo, con tutta la mente e con tutto il cuore, ci consente di trasformare la nostra vita, di vivere la carità-agape che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta e che non avrà mai fine. È l’amore a Gesù Cristo, amato sopra ogni cosa, che consentirà di impegnarci di più a vincere l’individualismo, a servire i poveri per i quali siamo invitati da papa Francesco – si legga il suo Messaggio per la Giornata mondiale dei poveri che celebreremo domenica prossima -, a pregare e ad amare coi fatti, a tendere loro la mano, a guardare nei loro occhi tenendo lo sguardo rivolto a Cristo che vive in loro, a trovare nuove forme di solidarietà che coprano anche coloro che non hanno protezioni sociali e sono immigrati. Solo se si amerà Gesù Cristo sopra ogni cosa si potrà vivere la stessa politica come una forma alta della carità, capendo che per risolvere i problemi della gente non basta la carità assistenziale.

La nuova evangelizzazione domanda che ci convertiamo a Cristo, che viviamo Lui, per Lui, riconoscendolo nei «fratelli più piccoli», come fece san Martino che oggi festeggiamo. Se riusciremo a mettere in pratica quanto insegna a fare Gesù – Egli afferma che saremo giudicati sull’averlo o no riconosciuto nel povero, nel mendicante, nel carcerato, nell’oppresso, nell’affamato – se riusciremo ad imitare san Martino vescovo, pastore solerte nella diffusione del Vangelo, apparirà chiaro quanto il cristianesimo sia rivoluzionario rispetto a modi di dire e di fare contemporanei. Basti anche solo pensare ad alcune politiche economiche e bancarie, secondo le quali vanno aiutati solo coloro che sono già forti e non hanno debiti. Secondo una mentalità diffusa nei templi della finanza speculativa la ricchezza della gente e delle Nazioni oggi va creata investendo soprattutto nelle borse, puntando al profitto a breve, anziché nelle imprese, nel lavoro, nelle comunità locali, le quali possono offrire un reddito sulla base di tempi lunghi. Il lavoro, in ultima analisi, per non pochi, può esserci o non esserci. Per il cristianesimo, invece, il lavoro è un bene fondamentale per la vita personale, per la famiglia, per la realizzazione del bene comune e della pace, per la salvaguardia del creato. Per questo occorre puntare a far sì che tutti possano accedere ad esso. E, così, per la cultura cristiana, la finanza non ha il primato sul bene comune, sulla politica.

La fede senza le opere è morta. Una fede che non trasfigura la vita sociale, rendendola più umana, è disincarnata, parziale. La nuova evangelizzazione include l’evangelizzazione del sociale. La fede diventa matura, adulta, grazie all’impegno nell’evangelizzazione del sociale: ossia, quando ci si impegna a «redimere» e a trasfigurare con l’amore di Cristo la società civile, l’economia, la finanza, la politica, i mezzi di comunicazione sociale, le relazioni internazionali.

Cari fratelli e sorelle, come insegna il brano del Vangelo odierno, non deve venir meno l’olio delle nostre lampade, non deve spegnersi il nostro fuoco, il nostro ardore, la nostra luce. Per cambiare la nostra vita e quella del mondo dobbiamo vivere accesi e luminosi. La nostra luce deve risplendere davanti agli uomini, perché vedano le nostre opere buone, quelle che comunicano vita. Ravviviamo il nostro cuore come fosse una lampada (cf Mt 25, 1-13). In questa Giornata del ringraziamento innalziamo al Signore la nostra riconoscenza per i frutti della terra e del lavoro. Uniamoci all’offerta di Cristo stesso al Padre.