Omelia per la Festa dell’Unità Nazionale

04-11-2017

Signor Sindaco, autorità civili e militari, cari fratelli e sorelle, dal punto di vista liturgico, festeggiamo san Carlo Borromeo, vescovo di Milano. Uno dei grandi promotori dell’attuazione dei decreti del concilio di Trento. Con la sua azione pastorale ha influito anche sulle Diocesi dell’Emilia Romagna. A lui sono dedicati chiese, altari, seminari. Conserviamo gelosamente le sue lettere inviate a vescovi e personaggi rilevanti del suo tempo. Viene ricordato come un pastore a servizio del popolo, che distribuì i suoi averi ai poveri. Proprio questo ci insegna il Vangelo odierno (Lc 14, 1.7-11): più che il primo posto è importante il nostro servizio. È fondamentale una vita nell’ottica dello Spirito d’amore di Dio e di Cristo. È questo che ci rende cari e graditi agli occhi di Dio Padre. È questo che colma il cuore di gioia, indipendentemente dal posto che occupiamo. Il primo è colui che serve. Più che primeggiare per i posti dobbiamo, allora, primeggiare per il nostro servizio alla gente, al bene comune.

Dal punto di vista civile celebriamo la festa dell’unità nazionale e delle Forze Armate. Senza dubbio è una bella cosa e una sana tradizione che, in questa occasione di particolare rilevanza civile, si convenga qui per la Messa in suffragio di tutti coloro che hanno contribuito, con le loro vite, a rendere il nostro Paese più libero. Ma in questa santa Messa è bene ricordare con riconoscenza, mostrando solidarietà nei loro confronti, tutti i caduti, non solo a partire dalla grande guerra del 1919. Dobbiamo ricordare anche coloro che in questi ultimi decenni hanno offerto la vita per l’unità nazionale e per la pace nel mondo. Non bisogna, cioè, dimenticare che il nostro Paese ha pagato, anche in questi ultimi tempi, un prezzo altissimo, in termini di vite umane nelle missioni di pace e per il supporto al mantenimento delle condizioni di sicurezza in tante aree travagliate da conflitti, crisi o miseria. Non sono superflue, in questa occasione, alcune riflessioni collegate alla festa dell’unità nazionale. A questa viene associata la festa delle Forze Armate. E ciò non è per esaltare la guerra e la violenza. Tutt’altro. Sappiamo che nell’art. 11 della costituzione italiana viene ripudiata la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Esso consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. Inoltre, sollecita che si promuovano e favoriscano le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

E, pertanto, se manteniamo degli eserciti, piuttosto trasformati nella loro strategia ed impostazione rispetto al passato, non è per sete di dominio, per offesa, bensì è per garantire la sicurezza del popolo italiano e per aiutare altri popoli – in un contesto di collaborazione internazionale, sotto l’egida dell’ONU -, a costruire una società giusta e pacifica. Abbiamo, purtroppo, ancora bisogno, data la situazione in cui ci troviamo, di eserciti dediti alla difesa, alla peace keeping e alla peace building. Un passetto in più la nostra Italia avrebbe potuto e dovuto compierlo con la sottoscrizione del recente Trattato internazionale, siglato presso l’ONU da 122 Paesi, e che vuole siano abolite tutte le testate nucleari. Ma si sa che bisogna, forse, creare nuove situazioni anche nel nostro territorio e in Europa. Così, sarebbe importante progredire sulla strada della non violenza quale forza che contrasta il male, l’ingiustizia, rispetta la persona, costruisce le condizioni della giustizia e della pace, formando le coscienze, sostenendo i movimenti civili che difendono e promuovono i beni collettivi, sollecitando all’obiezione di coscienza tutte le volte che sono attaccati i beni fondamentali come la vita, la dignità della persona, la libertà religiosa.

Cari fratelli e sorelle, questa celebrazione eucaristica che ci unisce a Cristo e tra noi, ci renda vigili e solleciti nel difendere e nel promuovere l’unità nazionale soprattutto dal punto di vista morale, culturale e religioso. Se questa unità si sgretola, come lo dimostrano parecchi fatti, vano è stato il sacrificio di tanti. L’unità non è un patrimonio che si deve semplicemente custodire. Esso va accolto, difeso e incrementato, specie in un contesto di crescente pluralismo religioso, etnico e culturale. Se non educheremo tutti, compresi gli immigrati a convergere verso valori condivisi sarà difficile mantenere l’attuale Costituzione italiana, regola fondamentale, piattaforma in cui tutti, con le necessarie riforme, dovrebbero convergere. Dall’unità e dalla comunione che viviamo attorno all’altare traiamo energie ed ispirazione per rinnovare la nostra unità nazionale e civile, nonché decisione nel progredire sulla via di una non violenza attiva e creativa.