OMELIA per il SALUTO alla DIOCESI

01-03-2015
Vogliamo anzitutto vivere il dono della liturgia della seconda domenica di quaresima, che ci aiuta a cogliere il significato vero anche del saluto che la Comunità cristiana di Faenza-Modigliana sta manifestando al termine del mio mandato episcopale. È la domenica della Trasfigurazione, che intende orientare il nostro percorso quaresimale decisamente verso la Pasqua di risurrezione. Gesù ha portato i tre discepoli su un alto monte e si è manifestato nella sua gloria. E di questo essi non avrebbero dovuto parlarne se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Diversamente non sarebbero stati creduti.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato la storia di Abramo, al quale Dio chiede in sacrificio il figlio della promessa. A lui Abramo legava la speranza del suo futuro, e con la sua morte tutto sarebbe finito. Invece fu proprio quel fidarsi ciecamente di Dio che fece sì che Isacco fosse ridonato ad Abramo come risorto. È la lettera agli Ebrei che ci fa capire questo modo misterioso di Dio: “Abramo pensava che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo” (Ebr 11,17-19); simbolo di Cristo, che il Padre non ha risparmiato, ma che ha fatto risorgere per ridonarlo a noi.
Dio mette alla prova e ci fa uscire dalla prova rafforzati e cresciuti dall’esperienza del suo amore. Le prove di Dio si distinguono dalle tentazioni del demonio perché mentre queste tendono a mettere al centro noi stessi, il nostro piacere, il nostro potere, il nostro possedere, Dio mette alla prova la nostra fedeltà all’amore di Lui e dei fratelli. La cosa difficile è credere che nel momento in cui Dio sembra toglierci ciò che ci ha dato, invece ce lo vuole ridonare nel modo più pieno. Succede così nella nostra vita. Quante volte ci lamentiamo con Dio perché non comprendiamo il suo modo di fare. Poi basta continuare a credere e arriviamo a vedere che “tutto concorre al bene per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28).
La liturgia ha il compito di mantenere vivo in noi questo modo che Dio ha di rendersi presente nella nostra vita, perché egli ci vuole bene più di quanto ce ne vogliamo noi stessi. In altre parole la nostra salvezza sta a cuore più a Dio che a noi. L’esperienza di Abramo, nostro padre nella fede, ce lo dimostra.
La liturgia ci aiuta a guardare la nostra vita nella luce di Dio; ci insegna a non accontentarci dell’aspetto superficiale degli eventi, ma a cercarne il senso profondo.
Volendo considerare il mio caso, arrivato a questo punto della vita, è dall’Eucaristia che sono aiutato a ringraziare.  S. Paolo a un certo punto in una sua lettera prorompe in una esortazione: “E siate riconoscenti”. Ha ragione: dobbiamo imparare a dire grazie, perché tutto è dono.
Questa Messa è per me l’occasione per dire grazie al Signore, alla Chiesa di Faenza-Modigliana, ai sacerdoti e religiosi, alle Suore e ai laici per questi dieci anni che ci sono stati donati. In questi giorni è successo che qualcuno, nella sua bontà, abbia voluto ricordare alcune cose fatte insieme. Il più delle volte per me è stata l’occasione per rendermi conto di quello che avrei dovuto fare.
Il bello di una Chiesa è vedere come le cose crescono dalla collaborazione responsabile di tutti. E la soddisfazione più bella è sapere che ciò che si compie nella Chiesa è sempre a favore di altri, per il loro bene spirituale e qualche volta anche materiale. Che nella vita ci siano delle difficoltà e dei problemi non è una novità, soprattutto quando si condivide la responsabilità di persone. Ma anche in questo caso c’è sempre da ringraziare, perché nelle situazioni più difficili c’è sempre da imparare.
Credo che la vita non basterebbe per dire grazie per tutto quello che abbiamo ricevuto. E pensare che il bello deve ancora venire, perché è nella vita risorta che si compirà ogni nostra speranza.
L’Eucaristia è ringraziamento e sacrificio, che ci conduce ad offrire ciò che abbiamo a nostra volta ricevuto. Non è che Dio abbia bisogno delle nostre cose o di noi stessi, ma questo diventa il modo concreto per noi per riconoscere di aver gradito il dono, partecipando quello che abbiamo. A Dio poi è gradito il nostro sacrificio di lode, nel riconoscere le cose belle che Lui ha fatto; ed è gradita l’offerta delle nostre fatiche e delle nostre sofferenze.
Quando una malattia ci colpisce noi vediamo subito il limite in cui ci troviamo e il deterioramento del nostro corpo. Quello è il momento in cui possiamo donare qualcosa di nostro, non perché siamo bravi, ma perché Gesù con la sofferenza ha salvato il mondo e coinvolge anche noi. C’è una frase di un sacerdote bolognese, don Giuseppe Codicè, che altre volte ho ricordato, che dice: “Di una cosa si rammaricano gli angeli: di non aver potuto offrire mai una sofferenza per il loro Signore”. Noi fintanto che siamo in vita possiamo offrire sempre qualcosa, anche se non ce ne rendiamo conto. L’importante è aver riconosciuto che tutto abbiamo ricevuto e che tutto possiamo donare.
Ringraziare, offrire e vivere il futuro. L’Eucaristia ci porta avanti; è l’anticipo qui in terra di ciò che sarà nel cielo, anche se ne è solo l’ombra e l’immagine. Nella vita non si può rimanere ancorati alla nostalgia e ai ricordi, come se non ci fosse più niente nel nostro futuro. Ci ricorda il Concilio: “Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove Cristo siede alla destra di Dio” (SC, n. 8).
Guardare la vita senza rimpianti non è sempre facile. Spero di poter far tesoro del realismo con cui mia madre affrontava il saluto degli amici quando si trattò di lasciare Bologna per venire a Faenza. A coloro che le dicevano: “Vogliamo poi vederci ancora; in fondo Faenza è vicina ecc.” rispondeva: “Se ci vediamo ancora sono contenta, altrimenti ci vedremo in Paradiso”. Era la visione di una persona che aveva davanti a sé un futuro reale, nel quale si aspettava il compiersi della beata speranza.
Il momento che stiamo vivendo con l’avvicendamento del vescovo ci offre l’occasione per un bell’atto di fede nella Chiesa: i vescovi cambiano ma la Chiesa continua, perché è Gesù che la guida. Vi invito sinceramente ad accogliere il Vescovo Mario come l’inviato del Signore per guidarci verso il Regno. Anche questo fa parte del futuro nel quale siamo invitati a vivere, in vista dell’eternità.
La Vergine santa, Madre della Chiesa e di tutte le grazie ci accompagni e ci protegga