Omelia per il 72 anniversario della liberazione

25-04-2017

Ricordiamo oggi san Marco evangelista. Oltre a scrivere il Vangelo recante il suo nome, accompagna san Paolo e san Pietro nel loro itinerario missionario. Secondo la tradizione fu inviato dallo stesso Pietro ad evangelizzare nella metropoli alto-adriatica di Aquileia e nella regione circostante. Dopo la morte a Roma del principe degli apostoli, sempre secondo la tradizione, è evangelizzatore in Egitto e fondatore della Chiesa di Alessandria, della quale sarebbe stato il primo vescovo.

Per ricordare san Marco, la Chiesa oggi ci fa riflettere su un brano tratto dalla prima Lettera di san Pietro apostolo (1 Pt 5, 5b-14) e sul brano del Vangelo dello stesso Marco che ricorda l’apparizione di Gesù agli Undici e il mandato a loro affidato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15-20).

Partiamo dal mandato di Gesù. Egli invia i suoi discepoli a continuare Lui, la Sua opera. Egli aveva detto: «Io sono venuto perché gli uomini abbiano la vita e ne abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

Sappiamo che Gesù, mediante la sua morte e risurrezione, guadagna per ognuno di noi una nuova umanità: un’umanità unita a Dio e, quindi, più capace di vero, di bene e di Dio stesso; umanità capace di lottare contro il male col bene, di perdonare, di amare il prossimo e Dio sino alla morte; umanità resa immortale. La nostra missione, in continuità con quella degli apostoli, è, dunque, di annunciare e di testimoniare Cristo morto e risorto, la vita nuova che Egli ci ha donato, perché la facciamo conoscere, la moltiplichiamo, la incarniamo nella nostra esistenza,  nella società, nelle istituzioni. Vivere il Risorto, vivere la sua vita è la nostra vocazione. Ma noi possiamo farlo se abbiamo fede in Lui. Possiamo annunciare in modo credibile che solo in Cristo risorto c’è salvezza se, mediante la fede, viviamo in comunione con Lui, ci doniamo a Lui e facciamo della nostra esistenza quotidiana un continuo impegno di umanizzazione secondo la pienezza che ha vissuto Lui.

Ma come ci ha ricordato il primo brano della Lettera di Pietro apostolo c’è un nemico: il diavolo che, come leone ruggente, va in giro cercando chi divorare. Detto altrimenti, il nemico cerca di neutralizzare e di distruggere l’opera di salvezza di Cristo. Egli si oppone a che si affermi in noi e nella storia degli uomini quell’umanità che Cristo ha conquistato con la sua Passione, morte e risurrezione. Come reagire? San Pietro ci incoraggia proprio così: «Resistetegli saldi nella fede». Per vincere il nemico occorre esistere ben piantati in Cristo, dimorare in Lui, vivere Lui. Più in particolare, bisogna essere umili, non superbi, ossia persone che pensano di sapere tutto, di poter fare a meno di Dio. Occorre, invece, essere vigilanti, temperanti, non dediti al culto del benessere materiale, delle passioni sregolate. La vigilanza dei credenti non è per mortificare la vita nuova. Tutt’altro. È per contrastare e smantellare l’uomo vecchio, egoista, che osa mettersi al posto di Dio e crede di essere misura suprema di tutto. È per far emergere una vita di dono e, quindi, di gioia. Il distintivo del missionario non è la tristezza, il pessimismo. È, piuttosto, l’ottimismo, nonostante tutto, nonostante il male che purtroppo lambisce anche la nostra vita, perché siamo fragili. Abbiamo bisogno di essere sempre redenti, corroborati nella fraternità, nel bene, nell’impegno per la giustizia, nel servizio al bene comune.

In questo contesto, ricordiamo il 72.mo anniversario della liberazione dell’Italia dai nazisti e dai fascisti. Il 25 aprile rappresenta il nuovo inizio dell’Italia democratica, libera, repubblicana. Oggi è, per la nostra Nazione, festa ed anche anniversario della Resistenza. Tanti italiani ed italiane hanno contrastato l’occupazione sino a pagare con la vita il loro amore per la libertà, la democrazia, la Patria. Non sono mancate vere e proprie stragi, tragiche rappresaglie che hanno coinvolto cittadini inermi, grandi e piccoli. Celebrare il 25 aprile è il modo per ringraziare il sacrificio di tanti. Oltre che pregare per tutti coloro che sono caduti per gli ideali di libertà e di amor patrio è l’occasione per rinnovare il proposito di lavorare strenuamente e incessantemente nella costruzione di una vita sociale sempre più fraterna, giusta e pacifica. La democrazia, lo sappiamo, non è una conquista definitiva. Peraltro, non è neanche un dato scontato la convergenza sui beni-valori codificati nella nostra carta costituzionale. Tutt’altro. Sappiamo benissimo che alcuni di essi sono messi in discussione o, addirittura, sono negati. La libertà non sta in piedi se si pratica un individualismo libertario. Non c’è progresso umano e civile se prevale il consumismo materialistico e tecnocratico, il capitalismo che assolutizza il denaro. Come ha scritto recentemente il papa emerito Benedetto XVI  nel suo Messaggio ad un Simposio sul concetto di Stato, tenutosi qualche giorno fa in Polonia, oggi siamo minacciati su due fronti. Da una parte da concezioni radicalmente atee dello Stato e dall’altra da visioni di Stato radicalmente religiose, integraliste, proprie dei movimenti islamistici. Occorre che in un simile contesto sviluppiamo e rafforziamo: una concezione statuale aconfessionale sì, che però riconosce a tutti il diritto alla libertà religiosa; uno Stato di diritto, radicato sul riconoscimento della dignità di ogni persona e, quindi, poggiante sulla base di un ordine morale oggettivo. La negazione di Dio o il suo oblio, la emarginazione della religione dalla vita pubblica e di ogni prospettiva di trascendenza dalla cultura, provocano l’indebolimento dello Stato, della democrazia, del diritto, della fraternità e della solidarietà.

Solo l’umanità nuova, che il Risorto ha seminato nei solchi della storia, potrà aiutare a rifondare gli Stati su una sana laicità, su una libertà che si prende cura del bene altrui, su prospettive di trascendenza. Durante questa Eucaristia preghiamo, dunque, perché sappiamo essere portatori di quel cristianesimo che dà a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare, e che coltiva vincoli di fraternità e di giustizia.