Omelia nell’anniversario della morte del S.d.D. Daniele Badiali

18-03-2018

Cari giovani, come vi ho detto ieri sera a Fossolo, siamo qui per ricordare Padre Daniele Badiali, nato a Ronco, nella campagna faentina, assassinato in Perù nel 1997, dopo essersi offerto al posto di una volontaria italiana durante un rapimento. «Vado io…» sono le parole che egli pronunciò e che ci ricordano il suo impegno di donazione a Dio e agli altri sino all’estremo.

Il Servo di Dio Padre Daniele, con la sua vita appassionata ed eroica, è per noi la prova di Dio in un mondo che sta perdendo la speranza. Se noi tutti siamo qui, in questa cattedrale, lo dobbiamo a lui, che ha saputo indicarci la bellezza di un amore vissuto intensamente passando attraverso la croce. E così ci ha ancor più innamorati di Cristo.

Padre Daniele ha spesso cantato nelle sue canzoni e scritto nelle sue poesie: «Non si può incontrare Cristo senza passare dalla croce». Per il credente la croce non è tanto segno di morte quanto, piuttosto, di un amore irriducibile, totale, incondizionato, senza risparmio.

Ritorno a ripetere: padre Daniele ci/vi ha attirati sin qui, a Faenza, non perché è stato un personaggio famoso della cultura, dello sport, della musica, della politica, ma perché ci credeva. Soprattutto per questo. Perché è stato esigente con se stesso e con gli altri, amando sempre, lavorando incessantemente su di sé, per essere la prova che Dio ci ama. Padre Daniele, pur nella povertà dei mezzi a disposizione, come era per tutti coloro che avevano seguito padre Ugo De Censi in Latinoamerica, era radicale nelle sue scelte. Nelle sue Lettere ci sono frasi terribili contro una pastorale accattivante, che facilita le proposte educative, abbassando l’asticella. A tale visione opponeva la via dell’amore entusiasta, convinto, ossia la via della croce: il metodo del sacrificio personale, del lavoro, dello spendersi completamente per i poveri, per amore di Gesù Cristo. I cristiani sono coloro che con la loro vita debbono sapere morire per donare Gesù Cristo, per «salvare Dio», in certo modo, in una società sempre più indifferente nei suoi confronti. Tocca ai cristiani mostrare con la vita che Dio c’è e che vale più di ogni cosa.

In questo giorno in cui ricordiamo Padre Daniele, non poteva capitarci di meglio che trovarci di fronte alle parole di Gesù, che vedeva ormai prossima la sua morte: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 20-33).

Padre Daniele, con la sua vita ci ha mostrato un sentiero per incontrare Gesù il Signore, per annunciarLo, per camminare nella Chiesa, per educare con efficacia, per impegnarci nel mondo a favore dei più poveri. Proprio per questo, la nostra Chiesa di Faenza-Modigliana, impegnata nella preparazione e nell’ormai prossima celebrazione del Sinodo diocesano dei giovani, lo sceglie come modello fulgido. Desideriamo proporlo come esempio di giovane che: cerca con inquietudine Dio, lo segue, lo serve, gli obbedisce, lo ama, imparando a morire ogni giorno.

Il suo itinerario spirituale deve diventare il nostro percorso e quello dei giovani di questa Diocesi, che ha dato i natali a Padre Daniele.

Egli ha cercato: Daniele era un giovane che ha cercato Dio e non si è fermato mai. Ne è stato un portatore, perché prima l’ha cercato. Voleva vivere pienamente la vita, andando sino in fondo. Ha conosciuto il bisogno di Dio, ma anche il combattimento per la fede e la tentazione di non credere in un mondo che fa di Dio un «latitante». Ecco perché ha seguito quella vocazione che è seminata nel cuore di ogni giovane, e si è sentito chiamato alla Gioia.

Ha seguito fedelmente. Daniele ha seguito fedelmente padre Giorgio, che lo ha portato a seguire padre Ugo che, a sua volta, lo ha sollecitato a seguire Gesù Cristo, accogliendolo e amandolo nei poveri. Con una vita così, di discepolo docile, padre Daniele insegna a noi oggi a seguire il Signore, con un amore indomito ed appassionato, nella fatica e nella gioia.

Ha servito Cristo, la Chiesa, i piccoli. Il «servire» è forse l’aspetto più congeniale al carattere di padre Daniele. Era una persona umile di suo, che faceva i lavori più modesti, a cominciare dal lavare i piatti. Riconosceva di non avere grandi doti pratiche. Nel suo gruppo c’erano altri che riuscivano meglio di lui a guidare i camion, a fare i lavori in muratura. Nonostante ciò, non si è mai tirato in dietro. Accettava di buon grado i disagi, sempre con spirito ilare, con animo disponibile.

Ha saputo obbedire. Dalla Lettera agli Ebrei (cf Eb 5, 7-9) abbiamo sentito, a proposito di Gesù: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono». Gesù, sebbene fosse Figlio di Dio, essendo diventato figlio dell’uomo, penetrò nella sapienza dell’obbedienza proprio attraverso la sofferenza che patì.

Il cristiano, sulle orme di Cristo, obbedisce all’amore per amore. Impara ad amare obbedendo all’amore anche costoso, che implica morte a se stessi, alle proprie vedute, apertura ad un amore più grande, più alto. Ebbene, padre Daniele, ha desiderato, talvolta con un forte tormento interiore, di essere obbediente, di imparare a morire. Un dei momenti, documentati dalla sua biografia, in cui padre Daniele imparò a morire e ad amare di più, fu quando, su sollecitazione di padre Ugo, accolse in casa un ragazzo disabile di nove anni, Eloy. Da quella prima accoglienza nascerà il progetto della Casa dei Danielitos. Per padre Daniele non fu subito una cosa facile. Si trovò in difficoltà. Non si sentiva in grado di amare gratuitamente in quella nuova situazione. In una sua lettera, padre Daniele confessò che si spaventò. Temette di non saper voler bene a quel ragazzo che era magro, sbavava un poco, non camminava ma strisciava. Non riusciva a commuoversi nel vederlo così. Non era il povero che avrebbe desiderato aiutare. E, tuttavia, non si tirò indietro. Daniele obbedì a padre Ugo e amò tanti ragazzi come Eloy.

Cari giovani, se desideriamo seguire padre Daniele, impegniamoci così: cerchiamo sempre Dio, seguiamolo fedelmente, serviamo, obbediamo, amiamo, imparando a morire ogni giorno. Impariamo ad obbedire all’amore. Noi non obbediamo a ciò che è arbitrario o irrazionale.

Partecipando all’Eucaristia ne abbiamo ancora l’opportunità, unendoci a Cristo, che imparò l’obbedienza da quello che patì.