Omelia nella solennità della Annunciazione

09-04-2018

La solennità dell’Annunciazione del Signore ci chiama non a riflessioni aride, bensì a muovere i primi passi verso la contemplazione delle profondità dell’essere.

Tante volte ci si interroga sulla propria vocazione. Si vorrebbe un segno per capire di più. Ebbene, Dio stesso ci dà un segno: la nascita dell’Emmanuele da una Vergine (Maria) (cf Is 7, 10-14).

Per rispondere alle domande “chi siamo e cosa dobbiamo fare” basta che guardiamo all’incarnazione di Dio in Gesù Cristo. Apprendiamo che siamo figli di Dio in Gesù Cristo e che siamo chiamati a vivere e a portare a compimento la nostra persona immedesimandoci a Lui. Creati e redenti per essere cristoconformi, ossia strutturati alla maniera del Figlio di Dio, cresciamo immergendoci nel mare della relazionalità della comunità trinitaria. Veniamo nutriti dal dono incessante del Padre. A nostra volta, siamo resi più capaci di dono.

Come viene descritto nella Lettera agli Ebrei (cf Eb 10, 4-10), la vita di Gesù è decisa ed orientata quale esistenza volta a fare la volontà di Dio: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà». Gesù vive la propria relazione col Padre dandosi totalmente a Lui. Nel consegnare la sua vita al Padre sperimenta una libertà piena, perché non antepone il proprio sé e nulla di suo a Lui. La vita di Gesù è un sì incondizionato al Bene Sommo, e perciò è totalmente libera.

Riflettendo sul mistero dell’incarnazione di Cristo comprendiamo, dunque, chi siamo e cosa dobbiamo fare. Vedendo noi stessi entro la nuova creazione, che viene attuata da Cristo incarnato, seminato nei solchi della storia, possiamo capire meglio la nostra vocazione umana e cristiana, la nostra missione. Il discernimento su di noi stessi cambia se è compiuto o no entro le coordinate proprie di un’umanità assunta, redenta e trasfigurata da Cristo, da Colui che viene permanentemente: in noi, nella storia dell’umanità. Chi crede, facendo esperienza continua della propria unione d’essere e di vita con il Salvatore, è posto al centro di un mutamento ontologico ed etico, di un dinamismo spirituale, quali si possono percepire solo là ove si attua l’admirabile commercium tra Dio e l’umanità di cui ci parla sant’Agostino, vescovo di Ippona. Il nostro essere personale è costantemente sorretto, alimentato, sollecitato verso il rinnovamento, il compimento umano e divino, dalla persona di Cristo, con la quale viviamo in intima unione. Dimorando in Cristo, vivendoLo, la nostra esistenza, quale piccola imbarcazione, solca l’oceano dell’amore infinito di Dio; è condotta verso la spiaggia della comunione con le tre Persone divine: Padre, Figlio e Spirito Santo. È resa partecipe della Chiesa, popolo di Dio in senso cristologico e non tanto in senso sociologico, corpo mistico di Cristo.

Il mistero dell’incarnazione ci radica nell’Essere di Dio, Uno e Trino, che diviene così «principio» originante, fondante e finalizzante di tutta la nostra esistenza. Pensare all’incarnazione di Dio che si fa carne e ci associa alla sua vita divina è trovare le fondamenta della nostra chiamata e della nostra missione: sia come persone, sia come credenti, sia come soggetti che aspirano al sacerdozio ministeriale.

Qui, nel contesto di questo Seminario regionale ove, in maniera precipua si sperimenta e si vuole riflettere sull’ampiezza, sulla profondità e sulla larghezza del mistero di Cristo e del suo amore – in vista di essere la Chiesa del Verbo incarnato oggi e domani -, non possiamo non dirci che esso rappresenta il «principio» dei principi di realtà. Il Verbo incarnato è per noi imprescindibile. E ciò, per non essere spiritualmente e pastoralmente schizofrenici; per poter diventare capaci di un discernimento saldamente ancorato all’ultimo piano oggettuale ed etico della realtà, ossia all’unità d’essere e di azione tra umanità e Dio, secondo distinzione, immanenza e trascendenza. Dio è all’interno di noi più del nostro intimo e più in alto della nostra parte più alta: interior intimo meo et superior summo meo (Confessioni, III, 6, 11).

L’esperienza della nostra comunione con Cristo redentore ci mette a disposizione il metro di misura e la matrice di una nuova cultura e di un nuovo umanesimo, capaci di decostruire quelle rappresentazioni artificiali proprie di una visione meramente telematica del creato e dell’esistenza umana. L’incarnazione di Cristo e la sua redenzione ci offrono i parametri per riappropriarsi del primato dello spirituale, per forgiare corrette scale dei beni-valori. Se amiamo la dignità trascendente delle persone e gli umanesimi che la concretizzano storicamente nelle legislazioni, nelle culture, negli stili di vita, nell’azione pedagogica, guai a noi se dimentichiamo il «principio», realissimo e «rivoluzionario», dell’incarnazione di Cristo. Chi desidera porre in atto una nuova conversione pastorale ed intraprendere un’evangelizzazione rinnovata nello slancio e nell’ardore, deve rimanere fedele al mistero del Verbo fatto carne, in una duplice maniera: credendo per comprendere (crede ut intelligas), comprendendo per credere (intellige ut credas). Solo così fioriscono nuovi umanesimi, nuove culture.

Amandolo, contemplandolo, vivendolo, testimoniandolo si potrà essere protagonisti – non semplici cultori platonici di una salvezza disincarnata – di una rivoluzione morale, spirituale, istituzionale, culturale ed educativa. Come persone chiamate alla missione dell’annuncio del Vangelo, non possiamo disinteressarci della cultura odierna, sostanzialmente chiusa alla trascendenza. Così com’è, è una grande ostacolo per gli evangelizzatori, per l’incarnazione del Vangelo. Abbiamo bisogno, allora, di «vedere» in profondità il sommovimento provocato dalla discesa del Verbo che si fa uomo. Dobbiamo saperlo scorgere nella realtà per assecondarlo, per poterne sviluppare le potenzialità che sottopongono il mondo alle doglie del parto di una nuova storia; per inscriverlo nelle istituzioni, nei mass media, nelle scuole di ogni ordine e grado, nell’educazione e nella pastorale.

Come Maria santissima e il suo Figlio, mettiamo a disposizione la nostra vita. Viviamo immersi nella loro pienezza d’amore e di libertà.