Omelia per l’anniversario di don Giussani

27-02-2018

Il brano di Vangelo che abbiamo sentito proclamare ci dice quanto il nostro cristianesimo può diventare non provocatorio, non rivoluzionario, e non interessare più i nostri contemporanei. Ciò avviene quando, come gli scribi e i farisei, viviamo una religione formale, enfatizzando le nostre opere, quando con la vita non comunichiamo più Gesù Cristo, ma noi stessi. «Tutte le opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filatteri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente» (Mt 23, 1-12).

Tante volte non riusciamo più ad essere convincenti e attraenti perché anziché mostrare Cristo, fonte originaria di novità di vita, sbandieriamo noi stessi, i nostri progetti, che parlano troppo di noi e non tanto del Signore Gesù. E così avviene che nascondiamo agli altri l’evento Gesù Cristo, il suo Vangelo. Ne consegue che anche lo stesso cristianesimo che proponiamo agli altri non appare più una forza spirituale, creatrice. Come afferma Julián Carrón, nel suo volume Dov’è Dio? La fede cristiana al tempo della grande incertezza (Piemme, Milano 2017), il nostro cristianesimo può diventare non più “reale”, ossia incapace di trasformare la vita sociale, la civiltà dei popoli. Può perdere la sua spinta rivoluzionaria. E ciò perché occulta la sua stessa scaturigine, Cristo Gesù, il redentore, evento sempre presente nella storia, capace di creare entusiasmo e speranza.

Parlando, dunque, di cristianesimo dobbiamo essere dotati di senso critico, dobbiamo saper distinguere tra cristianesimo e cristianesimo. Ci può essere un cristianesimo che, per la sua genuinità ed autenticità, ci comunica immediatamente Cristo stesso. E ci può essere un cristianesimo che, perché deteriorato e lontano dalla sua fonte originante, non la indica più o impedisce di vederla. Questo secondo cristianesimo, tende quasi a sostituirsi a chi lo ha posto in essere. Enfatizza eccessivamente le mediazioni storiche, che ne propongono concretizzazioni ed interpretazioni non sempre coerenti col Vangelo. Basti pensare a forme di cristianesimo devoto, disincarnato, spiritualista o terrenista.

Siamo, per conseguenza, chiamati a vigilare sul cristianesimo che noi viviamo e proponiamo. C’è, infatti, il rischio che esso divenga nelle nostre mani una realtà troppo distante dalle esigenze evangeliche e non riesca più a parlare di Gesù Cristo in una maniera provocante, tale da scuotere le coscienze e da facilitare la loro conversione a Gesù Cristo. Il cristianesimo, nonostante la sua nobile origine, può diventare un guscio vuoto, una comunicazione insignificante o muta, come lo possono essere le tante opere d’arte cristiana e i tanti crocifissi che si trovano nelle Università che sono sorte dalle cattedrali medievali, come ad esempio l’università di Salamanca. Perché tanti studenti di tali università non considerano minimamente i crocifissi che si trovano nelle loro aule? Perché non li comprendono come segno che rimanda alla loro vita di fede? Probabilmente perché Cristo crocifisso non è al centro della loro esistenza. Perché non è un evento o una presenza attuale per loro.

E come far diventare eloquente, parlante il crocifisso per le nuove generazioni, che mostrano indifferenza nei suoi confronti? Come far recuperare il senso di appartenenza a Cristo, alla Chiesa? Come aiutarli a scoprire che la loro vita è abitata da una chiamata costante a vivere Cristo, umanità più “reale” di ogni altra, perché in piena comunione con Dio?

Don Giussani, che questa sera ricordiamo nella santa Messa, comprese che ciò poteva avvenire in un solo modo: comunicando la fede come un avvenimento di vita. Ossia, aiutando i giovani a viverla come un incontro incessantemente rinnovato con Gesù Cristo, che solo può rispondere alla nostra sete infinita di vita, di felicità.

La nostra Diocesi, mossa da considerazioni simili a quelle di don Giussani, ha indetto, come ben sapete, un Sinodo dei giovani, con i giovani, per i giovani. Esso è già avanti nella sua fase preparatoria, che si avvale di un vademecum preparato dal vescovo, intitolato non a caso Chiamati alla Gioia. La celebrazione di tale Sinodo inizierà col prossimo settembre, con una santa Messa presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana e originario di questa diocesi. Con il Sinodo ci si ripropone di portare i giovani a prendere coscienza di essere e di costruirsi come popolo di comunione e di missione. Alcuni obiettivi specifici sono: a) favorire il loro protagonismo in vista della costruzione della comunità ecclesiale e di una società più fraterna, giusta e pacifica; b) renderli abili ed efficaci comunicatori della fede, specie nei confronti dei loro coetanei; c) allenandoli a vivere un’esistenza cristoconforme, nella comunione e nella missione.

Credo che la vostra Fraternità, proprio per la sua origine, si trovi in perfetta sintonia con il progetto pastorale racchiuso in un Sinodo dei giovani. La partecipazione all’Eucaristia, che rende presente l’evento della morte e risurrezione di Cristo ci renda persone capaci di incarnare i valori evangelici.