Omelia per la festa di S. Antonio di Padova

13-06-2017

Cari padri conventuali, cari fratelli e sorelle, abbiamo oggi l’occasione di gioire per il dono di sant’Antonio di Padova, insigne predicatore, taumaturgo, patrono dei poveri e dei sofferenti, ma anche insigne teologo, fondatore instancabile di comunità conventuali, evangelizzatore di città. Sin da giovane, fu attratto dall’ideale missionario. Tant’è che, volendo seguire l’esempio di cinque missionari francescani, che subirono il martirio in Marocco, lasciati i Canonici agostiniani, si fece frate minore e volle partire per quelle regioni africane. Sappiamo che in seguito ad una malattia rientrò in Italia e partecipò al famoso «Capitolo delle stuoie» ad Assisi.

Aiutati dalla parola di Dio che abbiamo udito, ricordiamo il suo amore alla Sapienza (Sap 7,7-14), ossia a Gesù Cristo e, per l’appunto, il suo slancio missionario nell’additarlo come tesoro inesauribile e fonte di tutti i beni. Anche oggi abbiamo bisogno di persone che si innamorino, come Antonio da Lisbona, di quella Sapienza di cui ci ha parlato la prima Lettura. Senza la Sapienza rischiamo di perdere tutti i beni, ossia di non saperli apprezzare e di non valutarli secondo la loro importanza per noi. Diventiamo incapaci di distinguere il bene dal male. Ci vietiamo persino di accogliere e di incontrare Cristo stesso, via, verità e vita; di considerarLo quale uomo perfetto perché Dio, traguardo del nostro compimento. Quanta confusione stanno vivendo le nostre città e le nostre famiglie! L’arbitrio viene scambiato per diritto, la menzogna con la verità. Se non si approva il suicidio o l’infanticidio si è considerati crudeli, in nome dell’esasperazione di pretese soggettivistiche. L’arte del servire l’altro spesso è mistificata ed è interpretata come un servire se stessi o il più forte o, preferibilmente, la propria parte. Succede che anche la gratuità del volontariato la si vuole prezzolata. Molti dei nostri giovani si lasciano prendere dallo sconforto perché il mondo appare troppo inospitale e ostile. Ricavano l’impressione di essere strumentalizzati e non amati per se stessi, per una crescita in Dio e nella libertà.

Cari fratelli e sorelle, abbiamo l’obbligo morale – ne va di mezzo la nostra dignità, ma anche la nostra salvezza – di accogliere la Sapienza, che è Cristo. Antonio di Padova ha compreso, come tanti suoi confratelli, come san Francesco, che occorre volgere lo sguardo al Crocifisso. In Lui, che muore e si dona totalmente a Dio e all’uomo, la Sapienza trova la sua più grande incarnazione. Senza la Sapienza della Croce non troviamo ed incontriamo quell’Amore pieno di verità che guarisce il nostro cuore e i nostri occhi. La croce di Cristo è medicina per il nostro spirito malato di egoismo e per la nostra vista annebbiata dall’errore. Cristo che muore sulla croce ci insegna un amore assoluto per la verità, per il dono. La croce non è stoltezza, bensì forza insuperabile d’amare Dio e il fratello, sino all’ultimo. Chi non ama Dio e l’uomo come Gesù, non possiede la sua sapienza. È disponibile a negare Dio e ad accettare la distruzione dell’uomo, nonché la codificazione giuridica dell’assurdo. Che tragedia e che stoltezza: l’uomo avrebbe il diritto di uccidersi e di uccidere l’innocente, l’inerme. Ci può essere una forma più incivile ed inumana della legge?

Antonio di Padova ha, poi, accolto incondizionatamente l’invito di Gesù rivolto agli Undici: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15-20). È noto, come già accennato, che Antonio lasciò i suoi, casa e beni per farsi canonico agostiniano e partire, poi, missionario. Possiamo considerare espressioni della sua vocazione missionaria il suo impegno di predicatore, ma anche di docente, studioso delle Sacre Scritture e dei Padri della Chiesa. La sua vita religiosa, i suoi viaggi apostolici anche in Francia, oltre che nel Nord Italia, la sua attività di fondatore di conventi, la sua azione pacificatrice possono essere visti come momenti di evangelizzazione: un’evangelizzazione instancabile, incisiva, trasformatrice di schemi culturali sclerotizzati, degli stili di vita poco attenti ai poveri, devoti al successo, al potere. Antonio, per quanto detto, è modello di evangelizzazione che scende in profondità, fermenta le culture e forma nuove generazioni di credenti e di testimoni. Cari fratelli e sorelle, non è Antonio di Padova un modello per noi, che viviamo in un contesto ove cresce la scristianizzazione e l’indifferenza religiosa? L’evangelizzazione non è solo un annuncio verbale, che non cambia gli animi, le categorie culturali, i costumi, gli umanesimi depotenziati. Antonio, alla scuola di Francesco, mette sempre al centro della vita, del pensiero, dell’azione Gesù Cristo. Egli deve diventare la vita per il credente, metro di misura del bene e del male, principio e fine dell’agire. Ecco ciò a cui, nel prossimo Sinodo diocesano dei giovani, già indetto, dobbiamo mirare. Si deve fare, allora, più intenso l’impegno di accompagnare i nostri giovani nella loro ricerca di Cristo, nell’incontro con Lui, affinché diventi per loro via, verità e vita, centro propulsivo del loro slancio innovativo, fulcro generativo dei loro sogni migliori. In questa celebrazione eucaristica preghiamo sant’Antonio perché i nostri giovani diventino come lui, che reca in mano un giglio, umanità pura; perché, imitando lui che Lo tiene in braccio, diventino portatori innamorati di Gesù Cristo.