Omelia per il 1° Maggio

01-05-2017

Caro Mons. Mario e don Andrea, cari fedeli, oggi questa comunità è in festa perché ricorda il suo santo patrono. Istituita da Pio XII nel 1955 intende ricordare, con tutti i lavoratori e le lavoratrici, san Giuseppe carpentiere, operaio, e presentarlo ad essi come modello.

Le Letture odierne, in particolare il brano della Genesi e del Vangelo (cf Gen 1, 26-2,3; Mt 13, 54-58), ci presentano il lavoro come un’attività che è di Dio creatore, del padre putativo di Gesù, ossia Giuseppe, e di Gesù stesso, che ha condiviso la condizione di falegname di Giuseppe, oltre che compito di Maria, madre e sposa.

Nelle suddette letture troviamo che il lavoro di Dio è compiuto per creare e per portare a compimento il cielo e la terra. Inoltre, che l’uomo e la donna, da Lui creati a sua immagine – Dio li creò maschio e femmina per un reciproco completamento: l’uomo non è uomo senza donna, la donna non è se stessa senza l’uomo – sono chiamati a coltivare insieme la terra, a sviluppare il creato, conducendoli alla loro perfezione, per rendere lode a Dio. Il lavoro non è fine a se stesso. Deve essere orientato al riposo, ossia alla contemplazione, alla gloria di Dio. Sono pochi tratti, ma sufficienti per dirci e farci comprendere che il lavoro è un’attività importante per l’umanità, per la custodia del creato, perché questo produca frutti (cf Gen 2,15). L’intervento dell’uomo deve favorire lo sviluppo del creato, prendendosene cura e facendone emergere le potenzialità che sono state inserite in esso.

Noi tutti sappiamo che oggi emerge la necessità di una conversione culturale e spirituale a proposito del lavoro, realtà che, purtroppo, continua a scarseggiare, specie per le nuove generazioni, ma non solo. Perché una conversione culturale e spirituale? Innanzitutto perché, afferma il Messaggio della CEI per la giornata del 1° maggio, se oggi il lavoro manca è perché esso è svalutato, a vantaggio del lavoro finanziario, ritenuto come l’attività principale o prevalente che, mediante la speculazione ad altissima velocità, riesce a produrre, più di ogni altra forma lavorativa, la ricchezza nazionale. Il lavoro artigianale, agricolo, sociale (imprese sociali e cooperative), amministrativo e politico, per conseguenza, non è più ritenuto così decisivo. Per cui vi è poca propensione a sostenerlo con il credito necessario. Se non si produce profitto a breve termine si è poco meritevoli di finanziamenti o di prestiti. Si tratta di un’ingiustizia. Ecco perché occorre un forte cambiamento. In secondo luogo, una conversione è urgente perché, privilegiando lo sviluppo tecnologico, sino a cadere nell’ideologia della tecnocrazia, che assolutizza la tecnica e il suo potere, si finisce per perdere il senso del lavoro, la sua valenza antropologica, sociale, economica e civile. Il lavoro viene ridotto alla dimensione economica, concepito come «forza» tra le altre. In realtà, si perde la consapevolezza che esso è sempre delle persone, ossia che è costantemente associato ad un soggetto umano – il quale ha un primato su di esso -, e che sostanzia il senso della vita. Il lavoro, infatti, personalizza, socializza, consente di formarsi una famiglia, di contribuire alla realizzazione del bene comune e della pace. Esso incrementa la dignità umana, la libertà ed è connesso con la democrazia. È antidoto alla povertà e titolo di partecipazione, va ripetendo papa Francesco. Non possiamo dimenticare che i costituenti l’hanno posto, non a caso, a fondamento della Repubblica.

Il lavoro non può mai essere ridotto a «occupazione», a semplice «risorsa» economica. È sempre attività della persona (actus personae). Va finalizzata alla crescita dell’uomo, alla coltivazione e allo sviluppo delle potenzialità del creato. La tecnica, seppur importante, non può contare di più della vita dei lavoratori e delle loro famiglie. Essa deve servire alla persona, al bene comune. Questo non significa demonizzare il progresso e l’innovazione tecnologica. Vuol dire, invece, che essi debbono essere ministeriali alla creazione di nuove opportunità di lavoro e non solo a sopprimere occupazioni considerate obsolete e a risparmiare soldi. Proprio perché vanno posti al servizio delle persone e del bene comune non bisogna dimenticare che vi sono limiti di applicazione della nuova tecnologia, dell’automazione, della robotica. Non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è anche da realizzare. Non ogni attività umana può essere soppiantata dal progresso tecnologico. Se l’assistenza e la cura degli ammalati e degli anziani può usufruire di vantaggi dall’applicazione della nuova tecnologia, non bisogna dimenticare che non si può sostituire del tutto l’assistenza umana alle persone malate. Esse hanno bisogno di cure personalizzate, di affetto, di assistenza spirituale, cose tutte che non possono essere offerte dai robot. Così, non si può ignorare che per l’uso delle nuove tecnologie si richiede sempre la presenza professionale di persone, tecnicamente competenti sì, ma soprattutto eticamente formate. Con le professionalità nuove devono esserci nuove conoscenze e una profonda cultura umanistica, oltre che una spiritualità aperta alla Trascendenza. In questo dobbiamo essere aiutati dalla scuola, dalle stesse imprese che hanno una particolarissima responsabilità nel trovare forme organizzative e contrattuali, nell’armonizzare tempi lavorativi e famigliari. Nei confronti di una nuova cultura del lavoro debbono contribuire specie quelle associazioni e quei movimenti che hanno il compito di accompagnare il mondo del lavoro nelle sue trasformazioni.

La sfida che ci attende non è l’immobilismo, non è il rifiuto acritico dell’innovazione tecnologica. Tutt’altro. Dobbiamo costruire una nuova economia, capace di realizzare uno sviluppo integrale, sociale, solidale, sostenibile, inclusivo. Una vera economia rende effettivo il diritto al lavoro e apre la porta alla piena cittadinanza.

San Giuseppe, patrono di questa comunità e del lavoro, ci aiuti a realizzare la prospettiva del lavoro per tutti. Non è accettabile che molti nostri giovani vengano esclusi dal mondo del lavoro, premessa di una libertà personale e collettiva. Partecipando all’Eucaristia offriamo l’impegno a favore della destinazione universale del lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale.