Via Crucis cittadina 2017

12-04-2017

«La mia anima è triste fino alla morte». A un certo momento, Gesù, sopraffatto dall’incomprensione, dall’angoscia e dall’abbandono dei suoi, di fronte all’imminente condanna e morte, stramazza al suolo. Il suo sudore diventa sangue. Gesù è giunto alla sua «ora». L’ora della totale unione al Padre: «Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Sappiamo che la volontà del Padre non era la morte del Figlio, bensì la sua fedeltà, sino in fondo, al compito di rinnovare l’umanità, di renderla totalmente unita a Dio. Gesù è venuto sulla terra per insegnare all’uomo il suo mestiere, quello di essere figlio di Dio, lottando contro il male, a qualsiasi costo, anche a quello della propria vita. Percorrendo la strada che lo porta sul Golgota, la strada della croce, conquista per ognuno di noi un’umanità nuova, capace di amare il Padre nel dono completo di sé.

Ci chiediamo, allora: in questa Pasqua prenderemo una posizione più netta a favore del Signore Gesù? Sceglieremo più decisamente il tipo di umanità che Egli ha realizzato per noi, ossia un’umanità più pienamente capace di amare e perdonare in ogni ambito, anche nella convivenza cittadina? Per ogni cristiano questo dovrebbe essere l’atteggiamento naturale, ossia la tensione a crescere secondo la misura di uomo che Gesù ha realizzato per noi. Siamo allora disposti ad essere autentica umanità nuova, alla maniera del Figlio di Dio, nel quale siamo e viviamo? Oppure continueremo ad appiattirci sui cliché contemporanei di visioni di uomo che rifiutano Dio, la trascendenza, la comunione; che assolutizzano l’arbitrio, una libertà senza limiti, avulsa dal bene, dal dono, dall’impegno per l’altro?

Ci accorgiamo che parte del nostro mondo cattolico è ormai colonizzato da simili distorsioni riduzioniste, che non sono ministeriali alla «città dell’uomo»? Siamo coscienti che molti considerano un progresso in umanità e civiltà lo scimmiottamento del matrimonio tra uomo e donna, volendo equipararlo a quello tra uomo e uomo o tra donna e donna? È, forse, crescere in un più di umanità quando è compressa la libertà religiosa, è penalizzata la libertà di educazione anche con tassazioni ingiuste? Può essere considerato un avanzamento in civiltà la codificazione del diritto dell’uccisione dei nascituri o dell’eutanasia e del suicidio assistito? È davvero un progresso sociale la discriminazione nei confronti degli obiettori di coscienza? Sono per noi condizioni umane quelle che impediscono il pieno inserimento nel mondo del lavoro, nella vita di partecipazione democratica? È più umana una politica che appronta sussidi ai disoccupati mentre è pigra nello studiare e varare modalità di lavoro per tutti? Non è più umano investire in politiche di ricerca, di innovazione, di investimenti pubblici, assieme a quelli privati? Non è più umano riconoscere, accanto ai valori della tecnica, i valori umani supremi, e Dio, che ne è sorgente e termine? Venendo al compito più proprio della Chiesa, domandiamoci: non è più umanizzante la vita della città, quando si vive l’unità nella carità di Cristo, la comunione nella missione, abbattendo campanilismi e particolarismi? Come si può essere lievito e sale, camminando in ordine sparso, ognuno per sé, senza dare il proprio contributo alla comunità sociale, parrocchiale, diocesana?

L’esame di coscienza di questa sera è stato pensato per aiutare a vivere meglio l’impegno di Gesù Cristo, volto a realizzare una nuova umanità. In questo ci siamo ispirati al beato Paolo VI, il quale cinquant’anni fa, mediante la sua grande enciclica Populorum progressio, ha declinato una tale umanità anche in termini economici, sociali e culturali. Dopo Pasqua, avremo l’occasione di commemorarla ed approfondirla nella nostra Diocesi. In vista di uno sviluppo integrale per tutti, Paolo VI indicava ai credenti e agli uomini di buona volontà, la strada di un umanesimo che permetta all’uomo di ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori dell’amore, dell’amicizia, della preghiera, della contemplazione. A tal fine proponeva un umanesimo plenario, comunitario, planetario, aperto alla trascendenza. Solo grazie ad un tale umanesimo si può realizzare in pienezza il vero sviluppo, che è la Pasqua, il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane, degne della vita della persona. Tra quest’ultime – e ad alcuni può sembrare strano –, Paolo VI poneva la fede, dono di Dio, sì, ma che va accolto dalla buona volontà dell’uomo. Solo vivendo Cristo, riusciremo a concretizzare anche per la vita sociale l’umanesimo che Egli ci ha conquistato, percorrendo la via della croce, via del dono totale di sé.

Non vanifichiamo, dunque, con scelte sbagliate l’arduo impegno di redenzione di Cristo e quell’umanità che Egli ha già guadagnato per noi, percorrendo il cammino della croce.  Non barattiamo l’uomo nuovo con Barabba, esempio di latrocinio, di ribellione violenta, di distruzione del bene dell’altro. Confermiamoci nell’umanità nuova che Cristo ha seminato nella storia. Onoriamo e lodiamo Cristo non solo a parole, ma con i fatti, divenendo costruttori di una nuova comunità ecclesiale e di una nuova società civile, secondo lo spirito del vangelo.