Capi scout e fede, don Stefano Vecchi: “I giovani hanno bisogno di educatori che siano testimoni”

Domenica 21 febbraio anche nella nostra Zona Agesci di Ravenna-Faenza centinaia di scout hanno celebrato con le loro attività il Thinking Day. Per conoscere meglio questa realtà, abbiamo incontrato don Stefano Vecchi, da qualche settimana nominato assistente ecclesiastico della Zona.

Intervista a don Stefano Vecchi

Che cosa rappresenta il Thinking Day?

Coincide con la data di nascita del fondatore scoutismo, Baden-Powell, e rappresenta un appuntamento importante per più di 50 milioni di guide e scout che sono nel mondo. Quest’anno la nostra Zona ha promosso delle attività gemellate tra i vari gruppi, seppur a distanza. La Zona è molto ampia, comprende 14 gruppi da Ravenna a Modigliana presenti in due Diocesi diverse. La sfida, in questo contesto, è che i singoli gruppi sentano maggiormente l’appartenenza alla propria Diocesi.

Che cosa rappresenta lo scoutismo per te?

Tantissimo. Ho sviluppato il mio percorso di fede all’interno della parrocchia di San Savino, ma lo scoutismo ha contribuito a renderlo più consapevole in un periodo complesso come quello dell’adolescenza. Ho vissuto esperienze che mi hanno aiutato a capire quanto la fede si leghi alla concretezza della vita. I capi che ho avuto la fortuna di incontrare erano davvero persone di fede convinte. Noto invece che oggi, spesso, i capi nella dimensione di fede tengano il freno a mano tirato e si nascondano dietro all’espressione di “essere in ricerca”, quando invece dovrebbero mettersi in gioco per essere guide autorevoli per i propri ragazzi. Non voglio poi dimenticare gli assistenti ecclesiastici che hanno accompagnato il mio cammino in tutti gli aspetti della vita scout, come la strada.

Qual è il valore dello scoutismo oggi?

I numeri sono incoraggianti. Lo scoutismo tutto sommato tiene e la proposta educativa è molto apprezzata. Nella nostra Zona abbiamo comunità di Rover e Scolte (Rs, 16-20 anni) numerose, con in media una ventina di giovani. Non è un fatto banale: altre realtà che non hanno un metodo consolidato fanno enorme fatica a intercettare questa fascia d’età. Questo però deve anche far pensare a un altro aspetto: la proposta sta diventando più debole? Il sospetto su cui ci interroghiamo è se la comunità Rs stia diventando solo un luogo dove ritrovarsi tra amici e non si prendono scelte forti, anche perché pochi di questi giovani decidono poi diventare capi. Il metodo scout ha una sua grande validità, ma il capo deve saperlo utilizzare con intenzionalità educativa, e questo è emerso anche con la pandemia.

In che senso? 

Il Covid ha spiazzato tutti, ma il mondo scout non si è tirato indietro e tanti capi si sono posti il problema di come portare avanti il percorso educativo. I capi con maggiore consapevolezza educativa e non legati all’attività fine a se stessa sono riusciti ad adattarsi meglio, senza paura, alle nuove sfide, perché avevano ben chiaro i bisogni e i cammini dei propri ragazzi.

Parlavi prima dei capi e del loro essere testimoni di fede. Come aiutarli in questo senso?

L’obiettivo è avere capi formati dal punto di vista metodologico, umano e spirituale. Si può dire con serenità che se sui primi due aspetti vengono offerte diverse opportunità di crescita, la parte legata alla fede va migliorata. Per farlo un capo deve coltivare occasioni nella quotidianità, non limitandosi solo ai campi di formazione dell’Agesci. Inoltre penso si debba lavorare molto anche sul linguaggio della catechesi, aggiornando il modo con cui parliamo ai più giovani. Il mondo scout può dare tanto in questo senso, integrandosi con l’attività del catechismo parrocchiale e nell’iniziazione ai sacramenti. D’altronde la fede c’entra pienamente con le esperienze che vivo nel mio essere capo squadriglia, nella comunità, nel fare strada e nel servizio.

Nel 2018 ci fu un incontro tra gli scout della Diocesi e il vescovo Mario.

Il percorso di dialogo col vescovo deve continuare, con l’ottica di fare dei passi in avanti alla luce di quanto già emerso e sugli aspetti pratici che in quell’occasione sono stati indicati. Tra gli altri, cito l’incontrarsicon i responsabili della comunità parrocchiale, programmando insieme i momenti formativi, partecipando da protagonisti nella educazione alla fede. E che in Agesci si trattino, in maniera parallela alla comunità parrocchiale, le varie tematiche relative ai sacramenti. Questi alcuni esempi, ma è auspicabile poi creare percorsi sinodali assieme alla Pastorale Giovanile e Vocazionale.

Il documento con le domande degli scout al vescovo Mario nel 2018

2018 SCOUT Domande per Vescovo 30.05.’18

da “Il Piccolo” – 25 febbraio 2021