San Pier Damiani, Dottore della Chiesa: un profilo storico

L’inizio della Quaresima coincide quest’anno con la festa liturgica di San Pier Damiani. Un santo che ha molto da insegnarci su come vivere l’esperienza quaresimale e che morì proprio qui a Faenza la notte fra il 22 ed il 23 febbraio dell’anno 1072, appena trascorso il mercoledì delle ceneri, mentre si presume volesse raggiungere l’eremo di Gamogna per trascorrervi il periodo penitenziale in raccoglimento e preghiera.

Le sue spoglie sono venerate in questa Cattedrale nella sesta cappella a sinistra dall’ingresso. Molti di voi probabilmente lo conoscono solo per sentito dire, per cui ritengo valga la pena ricordarne a grandissime linee i tratti salienti, anche perché egli fu una personalità fra le più complete ed interessanti della spiritualità medievale, tanto che gli è riconosciuto il prestigioso titolo di Dottore della Chiesa.

I primi anni

Nacque nel 1007 a Ravenna ed ebbe un’infanzia segnata dalla precoce perdita dei genitori. Un fratello ne intuì l’acuta intelligenza ed il non comune talento e lo avviò agli studi, che seguì anche nella nostra Faenza, verosimilmente presso la scuola della Cattedrale o del Monastero di Santa Maria Foris Portam. Ben presto maturò in lui la scelta vocazionale, fortemente influenzata dai modelli monastici-eremitici di san Romualdo, il fondatore dei Camaldolesi. Nel 1035 divenne monaco e poi priore dell’eremo di Fonteavellana, ai piedi del Monte Catria, fra Gubbio e Pergola. Nel corso della sua vita fondò e riformò diversi eremi e monasteri nella zona compresa fra Romagna, Marche, Umbria e Toscana, fra cui, per limitarci alla Diocesi di Faenza, Gamogna ed Acereta. Per quanto votato alla dimensione eremitica e contemplativa, mai esitò a porre le sue doti al servizio dei papi e della Chiesa. Per tali ragioni si può annoverare fra i protagonisti assoluti di quel complesso movimento riformistico della Chiesa dell’XI secolo, nel pieno della lotta per le investiture e per la supremazia fra Papato ed Impero, comunemente detta “Riforma gregoriana”, dal nome di papa Gregorio VII, che tutti conosciamo fin dai banchi di scuola per via del celeberrimo incontro di Canossa con l’imperatore Enrico IV.

Teologo, canonista, moralista

Pur essendo monaco ed eremita fu anche eminente uomo della Chiesa “istituzionale”, collaboratore ed amico di tutti i papi del periodo, sempre disponibile ad uscire dall’eremo per recarsi dovunque si rendesse necessaria la sua opera mediatrice e pacificatrice. Per gli indiscussi meriti e servigi venne insignito della dignità cardinalizia, con il titolo della sede di Ostia (che conferiva il privilegio di consacrare i nuovi pontefici), anche se in seguito rinunciò all’incarico, volendo sempre essere monaco fino in fondo. In tal senso appare pregnante l’espressione con cui si sottoscriveva nei rogiti notarili: «Petrus peccator et monachus», vale a dire “Pietro peccatore e monaco”.

Raffinato teologo, canonista, moralista e dotato di eccezionale cultura, è riconosciuto come uno dei più prolifici autori medievali, eccellendo nei più diversi generi letterari, dai sermoni alle lettere, dalle agiografie alle preghiere, dai poemi agli epigrammi, per diverse centinaia di titoli complessivi. Notevole la sua trattatistica contro la mondanità della Chiesa ed il degrado morale dei suoi ministri, non temendo in alcun modo di stigmatizzare lo stato di corruzione esistente nei monasteri e tra il clero, a motivo del commercio dei benefici ecclesiastici (la cosiddetta simonia) e del concubinato dei sacerdoti. A tale devianza dalla purezza evangelica della Chiesa egli antepose un’ideale di perfezione monastica perseguito nella penitenza, umiltà ed obbedienza. Dal Papa fino all’ultimo sacerdote esigeva un distacco da onori e privilegi e li ammoniva circa l’ideale della loro missione. Ma, nonostante la sua intransigenza, fu incline al recupero del clero “deviato”, ritenendo i sacramenti da esso amministrati validi a tutti gli effetti, evenienza peraltro accettata dalla Chiesa ancora oggi.

Per tutta la vita coltivò un proficuo rapporto con la città e diocesi di Faenza, non solo per l’attività degli eremi appenninici, ma anche per via dei profondi contatti con esponenti del clero e della società locale, tanto che sembra che in faentini lo avessero richiesto come proprio vescovo.

La morte

Come detto prima, morì a Faenza presso l’antichissimo monastero di Santa Maria Foris Portam (quello che tutti i faentini conoscono come “Santa Maria Vecchia”), al ritorno da una delicata missione a Ravenna e, come ritengono gli studiosi, probabilmente diretto a Gamogna per trascorrervi il tempo quaresimale, essendo ormai tardi per raggiungere la sua amatissima Fonteavellana. Da allora Faenza ne ha sempre gelosamente custodito le reliquie e la memoria, invocandolo fra i propri patroni. Numerose sono le opere d’arte a lui ispirate, come pure gli studi storici che si continuano a pubblicare.

San Pier Damiani e la Commedia dantesca

In quest’anno in cui ricorre il settimo centenario della morte di Dante Alighieri è doveroso ricordare che una delle personalità più emblematiche della spiritualità medievale non poteva non avere un adeguato ruolo nella più grande “sintesi” del mondo medievale che fu, per l’appunto, la Commedia. Nel canto XXI del Paradiso, quello degli spiriti contemplativi, il Santo incontra il Poeta lanciandosi in un’invettiva contro la mondanità della Chiesa. Alcuni versi del canto dantesco sono peraltro leggibili nella grande lapide posta nella facciata esterna della Cattedrale. Ma anche un altro padre fondatore della letteratura italiana, Francesco Petrarca, fu affascinato dalla personalità di Pier Damiani e, possedendo poche notizie su di lui, si rivolse all’amico Giovanni Boccaccio, che nel 1362 gli comunicò di avere ritrovato la vita scritta subito dopo la morte dal discepolo Giovanni da Lodi.

San Pier Damiani e papa Benedetto XVI

L’esempio di san Pier Damiani è, pertanto, un ottimo viatico per immergerci nel cammino di autentica conversione che la Quaresima ci invita ad intraprendere. Egli ha inteso tutta la sua vita come una sorta di percorso quaresimale, all’insegna della penitenza e della preghiera, ponendo sempre Cristo e la Croce al centro di ogni esperienza. La Croce, come ha ricordato papa Benedetto XVI nel corso dell’Udienza generale del 9 settembre 2009 dedicata al nostro santo, «sarà il mistero cristiano che più di tutti gli altri affascinerà Pier Damiani. “Non ama Cristo, chi non ama la croce di Cristo”, afferma (Sermo XVIII, 11, p. 117) e si qualifica come: “Petrus crucis Christi servorum famulus – Pietro servitore dei servitori della croce di Cristo” (Ep, 9, 1). Alla Croce Pier Damiani rivolge bellissime orazioni, nelle quali rivela una visione di questo mistero che ha dimensioni cosmiche, perché abbraccia l’intera storia della salvezza» ed ancora: «l’esempio di san Pier Damiani spinga anche noi a guardare sempre alla Croce come al supremo atto di amore di Dio nei confronti dell’uomo, che ci ha donato la salvezza».

San Pier Damiani ha ancora molto da dire all’uomo del nostro tempo, di questo nostro tempo funestato dal Covid, che esattamente un anno fa iniziava a diffondersi in maniera incontrollata, provocando ormai quasi centomila morti, la cui sofferenza vogliano oggi unire a quella di Cristo crocifisso.

San Pier Damiani e il Sinodo dei Giovani

Nel cammino sinodale dei giovani da poco concluso Pier Damiani è stato proposto come esempio da imitare. La sua attualità risiede soprattutto nel “rigore dell’eremo”, la “cella”, che, per usare sempre le parole di Benedetto XVI, diviene «parlatorio dove Dio conversa con gli uomini». Troviamo qui un forte richiamo anche per noi a non lasciarci assorbire totalmente dalle attività, dai problemi, dalle preoccupazioni e dagli egoismi di ogni giorno, dimenticandoci che Gesù deve essere veramente al centro della nostra vita. La comunione con Cristo crea unità d’amore tra i cristiani, ma in ognuno di noi dovrebbe essere presente la Chiesa nella sua totalità. Pier Damiani, che ha testimoniato per tutta la sua vita un’obbedienza indiscussa alla Chiesa in momenti in cui non era affatto facile restarvi fedeli, ci insegna ad essere in ogni momento autentici “innamorati di Cristo”.

Marco Mazzotti