La civiltà dell’amore fraterno

Fratelli-tutti

Papa Francesco, come già accennato, propone la costruzione di un mondo nuovo poggiante sui pilastri della fraternità e dell’amicizia sociale. Ma, a loro volta, dove trovano la loro fonte ontologica e morale tali pilastri? Secondo il pontefice essi trovano la loro origine nell’amore aperto a tutti, nell’amore che si estende al di là delle frontiere. Ecco perché, prima di parlare più diffusamente della fraternità e dell’amicizia sociale, papa Francesco nel capitolo terzo della sua enciclica, si ferma a riflettere sull’amore umano edivino, mediante una ragione ispirata cristianamente. L’amore è radice originante della fraternità e dell’amicizia sociale, in quanto dall’intimo di ogni cuore crea legami e allarga l’esistenza facendo uscire la persona da se stessa verso l’altro. E ciò perché siamo fatti per l’amore, perché c’è in ognuno di noi una specie di legge di «estasi»: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere.[1]

In tal maniera, il pontefice argentino, cogliendo la tensione morale che struttura le persone, in analogia a san Paolo VI, giunge a proporre la «civiltà dell’amore»,[2] quale anima del mondo nuovo che egli sogna, come mondo aperto a tutti.

È bene sottolineare che inizialmente Papa Francesco nella sua riflessione sull’amore procede noncon un metodo deduttivo o aprioristico, bensì muovendo dall’analisi dell’esperienza  della stessa esistenza umana, ossia con un metodo induttivo. Scrutando dentro i dinamismi psicologici e morali della vita umana giunge a comprendere che il «sogno» di un mondo nuovo, più fraterno, deriva dalla struttura morale della persona stessa, la quale si realizza in pienezza solo attraverso la libertà, il dono sincero di sé. L’umanità raggiunge il proprio compimento umano quando le persone e i popoli vivono relazioni vere, legami di fedeltà, comunione di sentimenti, fratellanza.[3] Ciò è possibile grazie all’amore, quel valore che, come spiegava Tommaso d’Aquino, consente una vita ricca di virtù. Solo l’amore vero orienta adeguatamente gli atti delle varie virtù, rendendoli capaci di costruire sia la vita personale sia la vita in comune. Il semplice amore umano, però, non è in grado, sempre come illustrava l’Aquinate, ma anche san Bonaventura, di garantire da solo una vita virtuosa piena. Occorre la carità che Dio infonde nelle persone. L’amore umano, amore fragile a motivo del peccato originale, dev’essere guarito, integrato e rafforzato dall’amore di Dio, donato e ricevuto. Questo amore trascendente  rafforza il dinamismo di apertura e di unione verso altre persone, perseguendo con determinazione e perseveranza il loro bene in Dio.[4] L’amore trascendente non contraddice le esigenze dell’amore umano, ma le perfeziona. Lo stesso amore donato da Dio, rivelato e realizzato da Cristo, riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, ci aiuta a conoscere meglio il dinamismo interno dell’amore umano. Perché?

Perché la struttura della vita spirituale e morale delle persone  si comprende meglio se si capisce in che cosa consiste quell’esperienza d’amare che Dio rende possibile con la sua grazia, ossia con il dono del suo amore, a cui l’essere umano aspira. Sempre san Tommaso d’Aquino spiegava una tale esperienza come un movimento che pone l’attenzione sull’altro considerandolo come «un’unica cosa con se stesso». L’attenzione affettiva che si presta all’altro provoca un orientamento a ricercare gratuitamente il suo bene. Tutto ciò parte da una stima, da un apprezzamento, che in definitiva sta dietro la parola «carità»: l’essere amato è per me «caro», vale a dire che lo considero di grande valore. L’amore virtuoso è qualcosa di più che una serie di azioni benefiche. Le azioni derivano da un’unione che inclina sempre più verso l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita, ossia un compimento umano pieno. Solo un amore virtuoso, ossia un amore umano redento e potenziato dall’amore sorgivo del Padre per il Figlio, nello Spirito Santo, rende possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti.[5] Detto altrimenti, la pratica delle virtù, quali la fraternità e l’amicizia sociale, ma anche delle altre virtù umane, nella fragilità della condizione umana non sono possibili senza l’aiuto di Dio.[6]

Come si potrà notare, è in  questo punto della sua riflessione che  papa Francesco, sempre seguendo un metodo di analisi esperienziale, rende più palese il legame esistente tra l’amore e la fraternità. La fraternità sboccia dal dinamismo dell’amore stesso. È inscritta nella tensione dell’amore che porta ad una progressiva apertura verso l’altro, facendo riconoscere che c’è una reciproca appartenenza tra le persone. Papa Francesco, senza appellarsi direttamente ai contenuti di fede – lo farà subito più avanti –, giunge a concludere: «Nei dinamismi della storia, pur nella diversità delle etnie, delle società e delle culture, vediamo seminata così la vocazione a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri».[7] Nella stessa storia umana è inscritto, in concreto, l’anelito alla costruzione di una civiltà dell’amore fraterno, la quale è assicurata a tutti i popoli dall’accoglienza – qui, invece, il pontefice si appella direttamente ai contenuti di fede – dell’amore divino o carità.

Cosa che – è bene precisarlo – può avvenire quanto più Gesù Cristo e il suo amore sono accolti, celebrati, annunciati e testimoniati nel mondo. L’instaurazione di una solida civiltà dell’amore fraterno presuppone l’evangelizzazione, l’annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore di tale civiltà, per usare il linguaggio che ci ha insegnato papa Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in veritate.[8] Quanto detto evidenzia il particolare impegno pastorale e pedagogico che dev’essere assunto e vissuto da parte delle comunità cristiane, delle associazioni, delle aggregazioni, dei movimenti cattolici o di ispirazione cristiana.

Note

[1] Cf ib., 88.

[2] Su Paolo VI e la civiltà dell’amore rimandiamo a M. TOSO, Paolo VI e la costruzione della civiltà dell’amore, in Aa.Vv., Paolo VI. Fede, cultura, università, a cura di M. Mantovani e M. Toso, LAS, Roma 2003, pp. 153-174.

[3] Cf FT 87.

[4] Cfib., 91.

[5] Cf ib., 94.

[6] Sulla pratica delle virtù umane e sulla vita buona nella fragilità della condizione umana si leggano le considerazioni di G. Abbà, Le virtù per la felicità, LAS, Roma 2018, specie pp. 672-680.

[7] Cf FT 96.

[8] Cf ad es. Benedetto xvi, Caritas in veritate (=CIV), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, 8.

Il commento

1. Obiettivo e modalità della «Fratelli tutti»

2. Il discernimento proposto dalla «Fratelli tutti»

3. Il realismo teologico, antropologico e morale della parabola del buon Samaritano

4. La civiltà dell’amore fraterno

5. La fondazione trascendente della fraternità: Benedetto XVI e papa Francesco

6. Un approfondimento: Cristo «universale concreto della fraternità»

7. A mo’ di conclusione: costruzione di un mondo nuovo mediante una politica samaritana