FESTA PATRONALE DI SAN POTITO

13 GENNAIO 2019

Il battesimo di Gesù che oggi celebriamo non ci ricorda solo la sua manifestazione come Figlio di Dio ma anche il nostro battesimo mediante il dono del suo Spirito. Tale dono ci rende e ci plasma figli nel Figlio, persone che vivono in Cristo, in Lui, per Lui, con i suoi stessi sentimenti. Mediante il nostro battesimo siamo, dunque, immessi nella vita di Cristo e della Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo. Siamo chiamati a vivere dell’Amore di Dio, della sua Bontà, Bellezza e Verità, nella stessa famiglia di Dio. Chi è battezzato e cosciente della sua identità di cristiano respira con i polmoni di Cristo, vede e pensa come Lui, crede in tutto ciò che è positivo, lavora e spera perché tutti possano godere della vita di Dio, sull’esempio dell’impegno di Gesù Cristo.

In questo giorno del Signore desideriamo celebrare anche la festa del patrono di questa comunità: san Potito, che nacque a Sardica, una regione dell’attuale Romania. Lo ricordiamo come martire, ucciso proprio perché discepolo di Cristo, durante la quarta persecuzione dei cristiani sotto Marco Aurelio Antonino il 13 gennaio. Il suo culto sembra sia giunto sin qui grazie ai monaci basiliani. Questa comunità, dunque, non solo è fondata in Gesù Cristo, il martire per eccellenza, ma ha anche come suo patrono un cristiano martirizzato verso il 160 dopo Cristo. Ciò che per noi conta è che abbiamo, per questa porzione di Chiesa, come punto di riferimento soprattutto due persone, una il Figlio di Dio e l’altra un nostro fratello nella fede, che noi desideriamo amare ed imitare proprio nel loro atteggiamento di dono supremo di se stessi. La loro testimonianza ci sollecita ad un’esistenza convinta e coraggiosa, desiderosa di cambiare il mondo dando la propria vita, combattendo contro il male, la gente falsa, corrotta, amante del potere e della ricchezza, degli idoli. Sappiamo che Potito scelse fin da giovane di essere di Cristo schierandosi nettamente contro la gente malvagia che calpestava i propri simili, abbandonando la vita mondana. La sua scelta di essere cristiano venne contrastata dal padre, uomo pagano, molto ricco, che voleva distoglierlo dal suo proposito con ogni mezzo. La determinazione del giovane Potito era così ferma che lo stesso padre alla fine rinunciò a segregarlo e a privarlo del cibo.  Potito non poteva vivere senza Gesù. Spiegando al proprio padre le ragioni del suo amore per Cristo gli fece capire che non poteva essere felice senza essere del suo Signore. Non bastavano le ricchezze, i piaceri della vita a colmare il suo cuore. Ciò che desiderava Potito era, sopra ogni altra cosa, essere senza peccati, gradito a Cristo più che agli uomini, vivere assieme alle persone timorate di Dio.

In definitiva, ciò che guidava l’intrepido Potito era un particolare e fine intuito di Dio. Egli era attratto irresistibilmente da ciò che poteva rendere bella e sapida la propria vita. Non si accontentava delle cose futili, materiali, che non saziano lo spirito e non colmano di gioia l’esistenza. Innamorato di Cristo riusciva a portarlo anche ai non credenti, come alla moglie di Agatone, il principe del Senato. Questa, ammalata di lebbra, non appena si convertì a Cristo venne prodigiosamente guarita.

Impariamo da san Potito, patrono di questa Comunità, ad essere missionari. Il quadro che lo raffigura sullo sfondo di una città pagana in rovina ci ricorda che pure noi viviamo in un mondo che, dal punto di vista morale e culturale sta crollando, e che può essere risanato ritrovando Dio e quell’amore per Lui che ci consente di abbattere gli idoli contemporanei. Solo l’amore a Dio, alla Bontà, Bellezza e Verità supremi ci può aiutare ad abbandonare quell’individualismo libertario ed utilitarista, quell’autosufficienza che ci portano al disprezzo della verità e del bene. Chi assolutizza se stesso, il proprio «io» non riconosce i legami sociali, i diritti altrui, ma solo i propri. In una società in cui i cittadini riconoscono come metro di misura solo se stessi, il proprio «io», viene a destrutturarsi la solidarietà, ciò che unifica moralmente. Viene a mancare il rispetto per l’altro, per le istituzioni sia civili sia religiose. Un’etica libertaria corrompe la società e la civiltà. Nasconde il valore del bene comune. Affievolisce il senso del servizio alla comunità.

Questa festa patronale ci aiuti a recuperare la nostra identità cristiana e, con essa, la vocazione missionaria, l’impegno nel servizio al bene comune, che viene accresciuto da una spiritualità capace di sacrificio e di dono generoso per Dio e per gli altri, come ci ha anche insegnato Nilde Guerra.

+ Mario Toso