NESSUN PROFITTO È LEGITTIMO SE NON HA RADICI NEL BENE COMUNE

Faenza, Sala “Giovanni Dalle Fabbriche” 1 ottobre 2018

Premessa

La presentazione del documento «Questioni dell’economia e della finanza» della Congregazione per la Dottrina della Fede e del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale del maggio 2018,[1] ci consente di riflettere sull’imprescindibilità della Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa (=DSC o ISC) per l’azione dei credenti e sull’ispirazione cristiana.

 

  1. La Dottrina sociale della Chiesa lievito ed ispirazione dell’azione sociale

Prima di fare alcune brevi considerazioni sul Documento mi permetto di segnalare la nascita di un’Associazione che pone al centro tale imprescindibilità. Perché?

Poiché l’attenzione alla DSC, nelle stesse associazioni ed aggregazioni cattoliche e di ispirazione cristiana, attualmente gode di poca rilevanza, il qui presente Mons. Adriano Vincenzi, assistente incaricato CEI per Confcooperative ha voluto, assieme ad alcuni amici, costituire un’associazione intitolata Il lievito. Si tratta di un’associazione privata di fedeli la cui costituzione è stata approvata dal sottoscritto, qui a Faenza. Nel titolo si usa l’immagine del lievito per dire cosa è o dovrebbe essere la DSC, non solo per l’associazione che ne porta il nome, ma anche per le altre organizzazioni, i movimenti cattolici o di ispirazione cristiana. La DSC accolta, interpretata, vissuta, aggiornata è come il lievito che immette il suo fermento positivo nelle attività e nelle organizzazioni umane. È lievito che fa crescere la vita associativa, le società, così da renderle più se stesse, più fedeli alla propria mission, alla propria essenza etica, ai propri obiettivi operativi. Senza il lievito la pasta non si sviluppa, si affloscia, implode, diventa poco commestibile.

  1. La proposta del documento «Oeconomicae et pecuniariae quaestiones», ovvero un’antropologia ispirata cristianamente per una più incisiva riforma del sistema monetario e finanziario

L’immagine del lievito mi consente di collegarmi al tema che è al centro del nostro incontro, ovvero la presentazione dei contenuti del Documento già citato, relativo alle odierne questioni economiche e finanziarie. In tale testo si riflette sull’attuale situazione, giungendo ad esprimere alcune considerazioni in vista di un discernimento etico, circa alcuni aspetti del nostro sistema economico-finanziario. Il Documento fa appello, in vista della realizzazione di un sistema economico-finanziario, di mercati liberi, stabili, trasparenti, «democratici»– ovvero caratterizzati da una imprenditorialità plurivalente o dalla «biodiversità» delle imprese -,[2] funzionali all’economia reale, alle imprese, alle famiglie, al bene comune, ai popoli, ad un’antropologia diversa e nuova rispetto a quella dominante, ovvero neoindividualista, libertaria ed utilitarista che finisce per produrre, come ebbe a sottolineare papa Francesco, senza mezzi termini, un’economia che scarta, non include, anzi uccide. A quale antropologia fa, dunque, riferimento il Documento? Come si legge in esso, ai numeri 9 e 10 il pontefice fa riferimento ad un’antropologia relazionale, razionale, comunionale e trascendente, derivante dal Vangelo. Ecco quanto si legge nel numero 9: «[…] senza un’adeguata visione dell’uomo non è possibile fondare né un’etica né una prassi all’altezza della sua dignità e di un bene che sia realmente comune. Di fatto, per quanto si proclami neutrale o avulsa da ogni concezione di fondo, ogni azione umana – anche in ambito economico – implica comunque una comprensione dell’uomo e del mondo, che rivela la sua positività o meno attraverso gli effetti e lo sviluppo che produce.

In questo senso, la nostra epoca ha rivelato il fiato corto di una visione dell’uomo individualisticamente inteso, prevalentemente consumatore, il cui profitto consisterebbe anzitutto in una ottimizzazione dei suoi guadagni pecuniari. La persona umana possiede infatti peculiarmente un’indole relazionale ed una razionalità alla perenne ricerca di un guadagno e di un benessere che siano interi, non riducibili ad una logica di consumo o agli aspetti economici della vita».

Nel numero 10, invece, si legge: «È facile scorgere i vantaggi derivanti da una visione dell’uomo inteso come soggetto costitutivamente inserito in una trama di relazioni che sono in sé una risorsa positiva. Ogni persona nasce all’interno di un ambito familiare, vale a dire già all’interno di relazioni che la precedono, senza le quali sarebbe impossibile il suo stesso esistere. Essa sviluppa poi le tappe della sua esistenza sempre grazie a legami che attuano il suo porsi nel mondo come libertà continuamente condivisa. Sono proprio questi legami originari che rivelano l’uomo come essere relazionato ed essenzialmente connotato da ciò che la Rivelazione cristiana chiama “comunione”. Questo originario carattere comunionale, mentre evidenzia in ogni persona umana una traccia di affinità con quel Dio che lo crea e che lo chiama ad una relazione di comunione con sé, è anche ciò che lo orienta naturalmente alla vita comunitaria, luogo fondamentale per la sua compiuta realizzazione. Proprio il riconoscimento di questo carattere, come elemento originariamente costitutivo della nostra identità umana, consente di guardare agli altri non anzitutto come a potenziali concorrenti, bensì come a possibili alleati nella costruzione di un bene che non è autentico se non riguarda tutti e ciascuno nello stesso tempo. Tale antropologia relazionale aiuta l’uomo anche a riconoscere la validità di strategie economiche che mirino anzitutto alla qualità globale della vita raggiunta, prima ancora che all’accrescimento indiscriminato dei profitti, ad un benessere che se vuol essere tale è sempre integrale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Nessun profitto è infatti legittimo quando vengono meno l’orizzonte della promozione integrale della persona umana, della destinazione universale dei beni e dell’opzione preferenziale per i poveri. Sono questi tre principi che si implicano e richiamano necessariamente l’un l’altro nella prospettiva della costruzione di un mondo che sia più equo e solidale».

In breve, il Documento afferma che l’umanizzazione della finanza, il suo orientamento etico al bene comune, che la fa essere pienamente se stessa, è comandato dall’ispirazione cristiana, ovvero da una antropologia relazionale, solidale, trascendente. I rapporti economici e finanziari improntati all’etica, creano fiducia, equità e cooperazione. Se lasciati solo agli automatismi di un mercato non animato dall’etica, essi producono scarti ed esternalità negative e, come ci ha ampiamente mostrato la crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007-2008, il fallimento delle stesse imprese e cooperative che non rispettano l’etica.

Detto in un altro modo ancora, il lievito che deve corroborare e fermentare la stessa etica della solidarietà, della vita sociale e della cooperazione è l’ispirazione cristiana, con la sua antropologia: non un’antropologia qualsiasi, priva di una scala di valori, al punto che la capovolge, mettendo al primo posto le cose da fare, l’organizzazione, le strategie, gli accorpamenti, il fatturato, ma non la persona, i soci, le famiglie e il bene comune.

Chi rinuncia all’antropologia ispirata dal Vangelo perde il lievito che fermenta l’attività economico-finanziaria, non facendola essere se stessa, ossia un’attività umana che perché tale è guidata dalla legge morale, dalla giustizia sociale e dal bene comune. Se non avviene così l’attività economica e finanziaria deteriora, perde la sua vocazione e la sua efficacia. Come diceva don Luigi Sturzo l’economia senza etica è diseconomia. Lo stesso può essere ripetuto per la finanza.

Chi pensa di poter fare a meno dell’ispirazione cristiana, a cui si richiamano gli stessi Statuti di varie associazioni, rischia di ridurre la sua attività economico-finanziaria a ricerca del mero profitto, a robotizzazione e digitalizzazione (importanti sicuramente, ma non fine ultimo), favorendo la spersonalizzazione dei rapporti, la caduta della responsabilità sociale, dimenticando i fini primari della promozione delle persone, dei soci e delle loro famiglie.

Chi è credente dovrebbe essere cosciente che ogni sua attività è pervasa e strutturata dall’amore cristiano. Se rinuncia al Vangelo di Cristo, all’antropologia che esso ispira rinuncia alla propria identità.

Di questo ho avuto modo di parlare a Cervia all’assemblea costitutiva di Confcooperative Ravenna-Rimini lo scorso 17 settembre.

Il Documento in esame, come anche la riflessione di questa sera, costituiscono un invito che interpella le coscienze per rafforzare l’impegno verso i valori della giustizia sociale e del bene comune, beni-valori che possono essere condivisi da tutti.

+ Mario Toso


[1] Cf Congregazione per la Dottrina della Fede-Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018.

[2] Cf Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, n. 20.